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Le Pmi idonee a sbarcare in Borsa

Secondo uno studio di Bankitalia, nonostante la pandemia, il numero di piccole e medie imprese quotabili è ancora molto elevato e non si esclude una ripresa nel 2021

La pandemia di Covid-19 ha avuto conseguenze pesantissime per le imprese, soprattutto per le migliaia di Pmi diffuse sul territorio italiano. Da mesi ci si interroga sulla loro possibilità di tenuta, ma anche sulla loro capacità di accedere al mercato dei capitali.
Il messaggio di speranza arriva da Bankitalia con lo studio “L’impatto della crisi da Covid-19 sull’accesso al mercato dei capitali delle Pmi italiane”, basato sull’analisi di 88 Pmi ammesse a Piazza Affari tra il 2013 e il 2019, che individua il profilo delle aziende non finanziarie che potrebbero quotarsi in Borsa. Tale profilo viene utilizzato per stimare il numero di Pmi potenzialmente più qualificate alla quotazione nella fase precedente alla diffusione del Covid-19.

Oltre 2mila realtà quotabili
I risultati mostrano la presenza di quasi 2.800 Pmi non finanziarie con caratteristiche ampiamente idonee alla quotazione prima della diffusione della pandemia.
Secondo Bankitalia nell’anno appena cominciato, nonostante la crisi economica innescata dalla pandemia di Covid-19, il numero di quotabili resta elevato. Dopo aver effettuato varie simulazioni sui bilanci aziendali 2020 e stime su quelli del 2021, Bankitalia è arrivata alla conclusione che, “il numero delle imprese quotabili rimarrebbe superiore a 2mila anche a inizio 2021, nonostante gli effetti della crisi sanitaria riducano del 20-25% il numero di Pmi idonee alla quotazione”.

L’impatto della crisi sui diversi settori
Le riduzioni percentuali più rilevanti si registrano nei servizi di alloggio e ristorazione, nelle attività ricreative e nel settore manifatturiero. All’interno di quest’ultimo, le riduzioni percentuali più significative si registrano nei settori delle confezioni di articoli di ‘abbigliamento e articoli in pelle’, della ‘fabbricazione di articoli in pelle e simili’ e delle ‘altre industrie manifatturiere’.
I settori ‘fornitura di energia’ e ‘sanità e assistenza’ sembrano invece beneficiare della crisi, con un numero di imprese quotabili in lieve crescita rispetto alla situazione pre-crisi. I due settori principali restano il manifatturiero (rispettivamente 1.065 e 1.000 imprese negli scenari base e negativo) e il commercio (rispettivamente 448 e 414 imprese). In termini percentuali il settore manifatturiero risente maggiormente della crisi, con una riduzione dal 52 al 48% negli scenari base e avverso mentre il settore ‘commercio’ rimane stabile al 20%.
La pandemia ha generato una “modesta riduzione” del saldo delle imprese quotabili appartenenti alle classi più alte a beneficio delle imprese più piccole.
“Tale effetto – si legge nello studio – è principalmente di tipo meccanico: la riduzione generalizzata dei ricavi determina lo spostamento di alcune imprese dalle classi di fatturato più elevato a quelle più basse”.
Non si rilevano, invece, differenze significative nella distribuzione geografica delle imprese quotabili. Le regioni più rappresentate rimangono la Lombardia (752 imprese e 708 imprese negli scenari base e negativo), il Veneto (282 e 272) e l’Emilia-Romagna (245 e 228).

Tra finanziamenti e quotazioni
“Le Pmi italiane – spiegano gli economisti Giuseppe Buscemi, Simone Narizzano, Francesco Savino e Gianluca Viggiano – hanno fatto ricorso più al finanziamento bancario e meno alla raccolta di capitale di rischio”. Una tendenza che ha contribuito a un sottodimensionamento del mercato borsistico italiano rispetto alle altre economie avanzate. Nel dettaglio, il rapporto tra capitalizzazione di mercato e Pil in Italia a fine 2019 era al 36%, mentre ammontava a “più del 100% in Francia e nel Regno Unito e più del 50% in Germania”.
Parallelamente, negli ultimi anni è aumentato il numero di ammissioni di Pmi in Borsa, anche grazie a “misure legislative e di mercato che hanno ridotto gli oneri di quotazione”. Tra queste, la Banca d’Italia individua proprio la creazione del segmento Aim.

Gli effetti dell’evoluzione della pandemia
Gli esperti della Banca Centrale Italiana segnalano inoltre che il numero delle imprese quotabili e la distribuzione per settore potrebbero modificarsi a seconda dell’evoluzione della pandemia e delle misure di sostegno all’economia.
Tra giugno e novembre del 2020, quando la circolazione del virus è rallentata e i mercati si sono stabilizzati, si sono osservati quindici casi di IPO presso la borsa italiana, di cui tredici sull’Aim; può trattarsi in parte di progetti di quotazione avviati prima della crisi, sospesi temporaneamente per effetto della pandemia e riavviati con la ripresa delle attività economiche e del mercato di borsa.
L’ipotetica quotazione di tutte le società individuate dall’analisi contribuirebbe a ridurre il sottodimensionamento del mercato azionario italiano rispetto a quelli delle maggiori economie. La capitalizzazione di mercato addizionale teorica è stimabile in 71 miliardi di euro nello scenario base e in 68 miliardi nello scenario negativo16 (+11 per cento rispetto alla capitalizzazione alla fine del 2019), con un incremento del rapporto sul PIL al 40 per cento, dal 36 per cento alla fine del 2019.

La ripresa al termine della crisi
Secondo gli esperti di via Nazionale, nonostante le difficoltà vissute, a fine 2020 l’andamento delle quotazioni sull’Aim Italia, il paniere composto delle piccole e medie imprese italiane ad alto potenziale di crescita, lascia presagire una robusta ripresa nel 2021. 
“L’elevato numero di imprese che continuano a essere idonee alla quotazione e le nuove ammissioni al mercato Aim Italia di fine 2020 – continua la banca centrale italiana – fanno ipotizzare che la tendenza alla quotazione in Borsa possa riprendere dopo che gli effetti della crisi da Covid-19 si saranno esauriti”.