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Sono 460mila le imprese a rischio chiusura

I commercialisti italiani rilevano un forte peggioramento delle condizioni economiche e finanziare in particolare delle microimprese. Le misure per il contenimento della pandemia hanno inciso profondamente su un tessuto che era già in difficoltà

I commercialisti lanciano un forte allarme rispetto alla situazione delle imprese italiane, che è molto peggiore di come viene disegnata, almeno per quanto riguarda le microimprese. L’opinione del settore è rilevante perché si tratta di una categoria con i piedi nella realtà produttiva e le mani nelle delibere statali legate a fisco ed economia, capaci quindi di conoscere le difficoltà delle imprese e di comprendere quanto le istanze statali sono una soluzione o un peso.
Il sentiment della categoria emerge dal 2° Barometro Censis-Commercialisti sull’andamento dell’economia italiana, realizzato in collaborazione con il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, che ha raccolto le opinioni di un campione di 4.600 commercialisti distribuiti su tutto il territorio nazionale, e la prima impressione è che il moderato ottimismo che emerge da alcuni ambienti sia totalmente infondato. Richiesti dell’opinione sulla situazione economica complessiva del paese, il 62,1% la giudica molto o abbastanza negativa, contro un 6,9% che si dichiara molto o abbastanza ottimista. La situazione di attuale problematicità è vissuta maggiormente dalle microimprese e va inserita nel contesto strutturale di più lungo periodo, dove alle difficoltà della crisi economica si aggiungono quelle che si riferiscono al “fare impresa”. Il rischio, si afferma nel report, è che “se quel tessuto si slabbra, la crisi in potenza dell’economia diventerebbe rapidamente crisi sociale conclamata”. Due dati su tutti sono sintomo di grave difficoltà: il 58,3% dei commercialisti afferma che le imprese clienti si sono trovate nell’ultimo anno a ritardare il pagamento delle retribuzioni mensili dei dipendenti e ben il 91,3% dei professionisti intervistati segue aziende che hanno registrato ritardi nella riscossione dei propri crediti.

Mai tante imprese così in difficoltà
L’epidemia di Covid protratta per così tanti mesi ha portato 460mila piccole imprese (meno di 10 addetti e sotto i 500mila euro di fatturato) a rischio chiusura, circa l’11,5% del totale del segmento, una quota che equivale a 80 miliardi di euro di fatturato e a quasi un milione di posti di lavoro: il numero è il doppio delle microimprese chiuse tra il 2008 e il 2019 come conseguenza della grande crisi.
Chiusure per il contagio e calo della fiducia hanno portato ad un forte rallentamento dell’attività, tanto che il 29% dei commercialisti rileva che più della metà delle microimprese clienti ha almeno dimezzato il proprio fatturato (il dato è 21,2% tra coloro che si occupano di imprese medio-grandi); inoltre, il 32,5% dei commercialisti riferisce di una perdita di liquidità superiore al 50% nell’ultimo anno per oltre la metà delle aziende clienti (26,2% di chi segue imprese più strutturate).

Intervenire presto, anche migliorando la burocrazia
In un contesto simile gli interventi statali per arginare le difficoltà delle imprese possono avere utilità ma non sono sufficienti.
Le misure di sostegno alle imprese (moratoria sui mutui, garanzie statali sui prestiti) sono giudicate positivamente dal 45,2% e negativamente dal 34%; gli interventi per la tutela del lavoro (divieto di licenziamento e ricorso alla cassa integrazione in deroga) sono apprezzati dal 43,4% dei commercialisti e bocciati dal 34,9%; ancora più basso il gradimento della sospensione dei versamenti fiscali e contributivi, che è valutato bene dal 33,3% e male dal 46,9%.
Su quanto si può fare da subito per dare un supporto immediato e concreto alle imprese in difficoltà, le percentuali mostrano un elevato livello di condivisione tra i professionisti intervistati e identificano nella burocrazia il primo ostacolo: il 79,9% rileva la necessità di testi normativi più chiari, il 76,7% chiede tempestività nei chiarimenti sulle prassi amministrative, il 70,7% auspica una riduzione degli adempimenti, il 67,2% una migliore distribuzione delle risorse pubbliche tra i beneficiari, il 61,1% una più efficace combinazione delle misure adottate, il 58,4% un taglio netto dei tempi necessari per l’effettiva erogazione degli aiuti economici, il 49,9% ritiene necessari stanziamenti economici più consistenti.
Tra gli interventi sarebbe auspicabile provvedere all’erogazione dei pagamenti della pubblica amministrazione che, nonostante l’impegno dichiarato, continuano ad arrivare in ritardo, tanto che il 30,6% dei commercialisti afferma che per i propri clienti le tempistiche si sono addirittura allungate.