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Rischi alimentari, tutte le regole per l’etichettatura

Sono tante le informazioni che devono comparire sulle confezioni degli alimenti. Oltre che per proteggere la salute dei consumatori, le indicazioni tutelano il made in Italy e le tipicità nazionali dell’Unione Europea

Il consumatore che acquista un prodotto alimentare confezionato, ovvero un alimento avvolto in un imballaggio dalla ditta produttrice, deve poter ricavare tutte le informazioni riguardanti il prodotto sulla sua confezione. In Europa, l’obbligo per i produttori di riportare tali informazioni risale principalmente al Regolamento UE 1169/2011, in base al quale devono essere necessariamente indicati: la denominazione dell’alimento, che include lo stato fisico del prodotto o il trattamento che ha subito (per esempio: in polvere, ricongelato, liofilizzato, surgelato, concentrato, affumicato, ecc.); gli ingredienti utilizzati, che comprende tutte le sostanze impiegate nella produzione, indicate in ordine decrescente di peso. Se sono presenti oli o grassi vegetali deve esserne indicata l’origine specifica (per esempio: palma, cocco, grassi idrogenati ecc.).

Le sostanze o prodotti che possono provocare allergie o intolleranze
Si tratta di sostanze spesso innocue per la maggior parte della popolazione, ma che in alcuni soggetti possono provocare reazioni anche gravi. In particolare, le sostanze o i prodotti la cui presenza è giudicata potenzialmente pericolosa e deve essere assolutamente evidenziata sono: cereali contenenti glutine: grano, segale, orzo, avena, farro; crostacei e prodotti a base di crostacei; uova e prodotti a base di uova; pesce e prodotti a base di pesce; arachidi e prodotti a base di arachidi; soia e prodotti a base di soia; latte e prodotti a base di latte; frutta a guscio e prodotti derivati; sedano e prodotti a base di sedano; senape e prodotti a base di senape; semi di sesamo e prodotti a base di semi di sesamo; anidride solforosa e solfiti; lupini e prodotti a base di lupini; molluschi e prodotti a base di molluschi.

La durabilità del prodotto
Sulle etichette devono essere indicati la data di scadenza e il termine minimo di conservazione (TMC). Conoscere la differenza tra questi due termini può essere utile per evitare che un prodotto venga gettato quando è ancora commestibile. Entrambe le date valgono purché la confezione rimanga integra e il prodotto sia stato conservato idoneamente.
La data di scadenza è usata per prodotti facilmente deperibili ed è preceduta dalla dicitura “Da consumare entro il”, che rappresenta il limite oltre il quale il prodotto non deve essere consumato, perché potrebbe costituire un rischio per la salute del consumatore.
Il termine minimo di conservazione si usa per gli alimenti che possono essere conservati più a lungo e prevede la dicitura “Da consumarsi preferibilmente entro il”. Dopo la data riportata, l’alimento potrebbe presentare caratteristiche organolettiche diverse che in partenza, ma può essere consumato senza rischi per la salute, in tempi ragionevolmente brevi. A tale dicitura seguono “giorno e mese” per i prodotti che si conservano meno di tre mesi, “mese e anno” per i prodotti che si conservano da tre a diciotto mesi, “anno” per i prodotti che si conservano più di diciotto mesi.

Conservazione e indicazioni nutrizionali
Le condizioni di conservazione e uso sono importanti perché consentono di adottare gli accorgimenti necessari per una corretta conservazione dell’alimento, sia prima che dopo l’apertura della confezione, mentre le dichiarazioni nutrizionali contengano informazioni in merito al valore energetico: grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale. Il valore energetico dell’alimento è riferito in 100 g/100 ml oppure per una singola porzione ed è espresso come percentuale delle assunzioni di riferimento per un adulto medio, ossia circa 2000 kcal al giorno.
Le indicazioni nutrizionali facoltative e sulla salute sono indicate volontariamente dal produttore per valorizzare il proprio prodotto e dare al consumatore la possibilità di fare scelte più attente e in linea con le sue preferenze o necessità. Secondo il Regolamento, con indicazioni nutrizionali si intende: “qualunque indicazione che affermi, suggerisca o sottintenda che un alimento abbia particolari proprietà nutrizionali benefiche, dovute all’energia (valore calorico) che apporta, a tasso ridotto o accresciuto o non apporta; e/o alle sostanze nutritive o di altro tipo che contiene, in proporzioni ridotte o accresciute o non contiene”.

Le informazioni utili per la salute
In generale se viene usata la dicitura “senza”, quel nutriente nell’alimento sarà contenuto in quantità vicina allo zero (es. formaggio spalmabile senza grassi). Se viene usata la dicitura “basso”, significa che l’alimento contiene quel nutriente in quantità maggiore rispetto agli alimenti con la dicitura “senza” (es. formaggio spalmabile a basso contenuto di grassi). Infine, se riporta la dicitura “ridotto”, significa che l’alimento contiene quel nutriente in quantità inferiore del 30% rispetto al prodotto standard (es. formaggio spalmabile a ridotto contenuto di grassi).
Con indicazione sulla salute invece è intesa “qualunque indicazione che affermi, suggerisca o sottintenda l’esistenza di un rapporto tra un alimento, o uno dei suoi componenti, e la salute”. Questo tipo di indicazioni è consentito solo se nell’etichetta sono presenti anche delle diciture relative all’importanza di una dieta varia ed equilibrata e di uno stile di vita sano, oltre che la quantità dell’alimento e le modalità di consumo necessarie per ottenere l’effetto benefico indicato. Le indicazioni sulla salute fornite devono essere comprovate da studi scientifici, aver ricevuto parere favorevole dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ed essere state incluse in un elenco di indicazioni consentite. Un esempio è la dicitura “abbassa/riduce il colesterolo”.

Il vanto dell’Italia: i marchi registrati
Una menzione a parte merita l’indicazione del Paese d’origine e il luogo di provenienza. Se la tutela della qualità delle produzioni agroalimentari costituisce un punto focale nell’ambito delle politiche di sostegno dei mercati nei Paesi membri d’Europa, essa costituisce un obbiettivo principale per l’Italia, che vanta il maggior numero di prodotti agroalimentari a marchio registrato.
Il nostro Paese, puntando sulle informazioni che vengono fornite ai consumatori, e pertanto sull'etichettatura dei prodotti stessi, ha quindi implementato la legislazione europea, arricchendola con norme interne finalizzate alla tutela delle produzioni agroalimentari di qualità, come quelle che prevedono l'indicazione obbligatoria dell'origine della materia prima in etichetta.

Il dibattito europeo
C’è da rilevare che, a livello europeo, l’impostazione prevalente in merito all'indicazione dell'origine del prodotto in etichetta, viene ritenuta generalmente incompatibile con il mercato unico, in quanto la presunzione che vi sia una qualità particolare, legata ad uno specifico territorio, risulterebbe discriminatoria nei confronti degli altri Stati membri.
In pratica, si pensa che se due prodotti derivanti da Paesi europei diversi non presentano differenze sul piano merceologico ed organolettico, non vi sia alcuna necessità di indicarne l'origine e che tale informazione non sia, insomma, necessaria.

Dop e Igp
Fanno eccezione solo i prodotti a Denominazione di origine protetta (Dop) e quelli a Indicazione geografica protetta (Igp), per cui l'indicazione della provenienza costituisce uno degli elementi qualificanti del disciplinare di produzione e della qualità del prodotto stesso. Per gli altri vale il principio secondo il quale l'indicazione del luogo d'origine è obbligatoria solo quando la sua assenza possa indurre il consumatore in errore.
Tale principio è stato sancito definitivamente dal già menzionato Regolamento UE n. 1169/2011, che si applica a tutti gli alimenti destinati al consumo (inclusi i prodotti destinati al consumo immediato nei ristoranti, nelle mense, negli ospedali ecc.).
Il Regolamento di esecuzione n. 2018/775 del 28 maggio 2018 ha quindi stabilito le modalità di applicazione del Regolamento n. 1169/2011, proprio in merito alle norme sull’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario di ogni alimento.

La provenienza delle carni e del latte
Per alcune tipologie di carni (fresche, refrigerate o congelate) di suini, ovini, caprini e volatili, lo stesso Regolamento 1169 aveva già introdotto l'obbligo dell'indicazione del luogo di origine, con il provvedimento di esecuzione n.1337/2013 della Commissione.
Per i bovini l'obbligo di indicazione di origine (Paese di nascita, ingrasso e macello) era già esistente in seguito alla normativa europea sopravvenuta ai fenomeni di encefalopatia spongiforme bovina (ricorderete il fenomeno della cosiddetta mucca pazza). Per le carni equine, di coniglio, di renna, cervo e selvaggina, nonché provenienti da volatili diversi da pollo, tacchino, anatra, oca e faraona, si prevede che la Commissione presenti al Parlamento ed al Consiglio specifiche relazioni circa le modalità di indicazione obbligatoria del paese di origine e luogo di provenienza.
Lo stesso vale per il latte (incluso quello adoperato come ingrediente dei prodotti lattiero-caseari), per gli alimenti non trasformati, i prodotti a base di un unico ingrediente e per quegli ingredienti che rappresentino più del 50% di un solo prodotto alimentare.

Altri alimenti e ingredienti
Bisogna poi considerare che per alcuni alimenti particolari erano già previste norme europee specifiche, come per il miele (Direttiva 2001/110/UE, modificata dalla Direttiva 2014/63/UE e legge n. 114/2015); i prodotti ortofrutticoli freschi (Regolamento n. 1308/2013 UE); i prodotti della pesca non trasformati (Regolamento n. 1379/2013 UE); olio di oliva vergine ed extra vergine (Regolamento n. 29/2012 UE e legge n. 9/2013); vino (Regolamento n. 1308/2013 UE); uova (Regolamento n. 589/2008 CE); pollame importato (Regolamento n. 543/2008 CE); bevande alcooliche (Regolamento n. 110/2008 CE).
La normativa prevista dal Regolamento di esecuzione UE 2018/775 della Commissione, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 29 maggio 2018, non si applica alle indicazioni geografiche protette e ai marchi di impresa registrati e prevede che debba essere indicato il Paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario, specificando i riferimenti utilizzabili in relazione alle zone geografiche con le diciture UE, non UE o UE e non UE. È inoltre necessario indicare se l’ingrediente primario derivi da una regione all'interno dei diversi Stati membri o di paesi terzi (se definita tale in forza del diritto internazionale pubblico o se ben chiara per il consumatore medio normalmente informato); se derivi da una zona di pesca FAO, ovvero da mare o corpo idrico di acqua dolce.
In alternativa, si può fare riferimento al fatto che l'ingrediente primario non provenga dal paese d'origine o dal luogo di provenienza dell'alimento. All’articolo 3 il regolamento di esecuzione indica inoltre come debbano presentarsi tali informazioni. Questo regolamento, pur essendo entrato in vigore il terzo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea (avvenuta il 29 maggio 2018), si applicherà a decorrere dal 1° aprile 2020. Gli alimenti immessi sul mercato o etichettati prima della sua data di applicazione potranno comunque essere commercializzati sino ad esaurimento delle scorte (art. 4).

I passaggi normativi per garantire la qualità dei prodotti
Il legislatore italiano, attraverso l’attività di sensibilizzazione svolta dalle Commissioni agricoltura di Camera e Senato, ha sempre attribuito grande importanza alla definizione di una normativa che preveda l’obbligo di indicare per tutti i prodotti agroalimentari la loro origine nazionale, sia per tutelare la qualità che l’autenticità del prodotto stesso. Com’è noto, consideriamo la nostra produzione alimentare una delle eccellenze del Paese ed il suo legame territoriale è quindi ritenuto un elemento di pregio da segnalare al consumatore.
La legge n. 4/2011 in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari, adottata allo scopo di assicurare una completa informazione per i consumatori, ha quindi disposto l'obbligo (artt. 4 e 5) di riportare nell’etichetta anche il luogo di origine o di provenienza per tutti i prodotti alimentari commercializzati, trasformati, parzialmente trasformati o non trasformati.
L'indicazione concerne il luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale, il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente, utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti alimentari.
Le modalità applicative della legge n. 4/2011 sono state demandate ai decreti interministeriali chiamati a definire, all'interno di ciascuna filiera alimentare, quali prodotti alimentari dovevano essere assoggettati all'etichettatura d'origine.
Sono stati quindi emanati il decreto 9 dicembre 2016, recante l'indicazione in etichetta dell'origine del latte e dei prodotti lattiero-caseari; il decreto 26 luglio 2017 per l'indicazione di origine del riso; il decreto 26 luglio 2017 per l'indicazione dell'origine del grano duro e per le paste di semola di grano duro; il decreto 16 novembre 2017 per l'indicazione di origine del pomodoro.
Quando è intervenuto il regolamento di esecuzione UE 2018/775, il decreto ministeriale 7 maggio 2018 ha previsto la cessazione dell’efficacia di tutti questi decreti alla data di applicazione del regolamento stesso, fissata, come abbiamo detto, al 1° aprile 2020.
Con l’articolo 3-bis della Legge di conversione del Dlgs 14 dicembre 2018 n. 135, concernente disposizioni urgenti per il sostengo e la semplificazione per le imprese, è stata ulteriormente modificata la normativa italiana che ha dettato disposizioni in merito all’indicazione del luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari.
La legge in questione definisce i casi in cui l’indicazione del luogo di provenienza dei prodotti alimentari diventa obbligatoria, individua le categorie specifiche di alimenti per le quali sarà previsto tale l’obbligo e prevede che il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo provveda ad effettuare appositi studi per individuare la presenza di un nesso tra la qualità degli alimenti e la loro provenienza, valutando in quale misura sia percepita come significativa l’indicazione del luogo di provenienza e se la sua omissione possa risultare ingannevole per il consumatore.
I risultati degli studi effettuati saranno quindi resi pubblici e trasmessi alla Commissione Europea, congiuntamente alla notifica del relativo Decreto.

Le frodi e l’emendamento Made in Italy
A partire dal 5 aprile 2018 è poi scattato in Italia l’obbligo di indicare la località e l'indirizzo dello stabilimento di produzione o di confezionamento (o solo la località, se questa consente l'immediata identificazione dello stabilimento) di ciascun alimento, se lo stesso è confezionato in uno stabilimento diverso da quello dove è stato prodotto. La regola, che si aggiunge a quelle previste dal Regolamento europeo, varrà per tutti gli alimenti prodotti in Italia e destinati al mercato interno. In caso di mancato rispetto dell'obbligo, l'operatore che non indicherà in etichetta lo stabilimento di produzione o di confezionamento sarà sottoposto a una sanzione amministrativa pecuniaria che varia da 2.000 a 15mila euro. La competenza per il controllo del rispetto della norma e l'applicazione delle eventuali sanzioni è stato affidato all'Ispettorato repressione frodi (ICQRF).
Infine, con un emendamento approvato dal Parlamento nel gennaio del 2019 e definito non per nulla “emendamento Made in Italy”, è stato disposto l'obbligo di indicare in etichetta l'origine di tutti gli alimenti, posizionando il nostro Paese oltre le normative già presenti, sia a livello nazionale che sul piano dell’UE.
In pratica, ma solo in attesa del decreto necessario, restano ancora senza l'etichetta d'origine i salumi, la carne di coniglio, la carne trasformata, le marmellate e i succhi di frutta, i legumi in scatola, la frutta e la verdura essiccata, il pane, le insalate in busta e i sottoli.
La questione attiene certamente alla valorizzazione della produzione nazionale, dal momento che, come abbiamo accennato, l’Italia vanta il maggior numero di prodotti a marchio registrato, che sono oggetto di continui e sofisticati tentativi di contraffazione.
L'obbligo di indicare in etichetta l'origine di tutti gli alimenti potrà quindi consentire scelte di acquisto più consapevoli da parte dei cittadini e nel contempo potrà combattere il fenomeno del falso Made in Italy, che tanto nuoce alla nostra economia ed alla reputazione del prodotto italiano.

Le vittorie e le fughe in avanti
L’iniziativa è stata dunque ritenuta una grande vittoria per agricoltori e consumatori. Il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, ha dichiarato che l’etichettatura di origine obbligatoria degli alimenti, introdotta per la prima volta in Europa dopo l’emergenza del fenomeno della mucca pazza, per garantire la trasparenza e la rintracciabilità dei prodotti alimentari e ripristinare la fiducia dei consumatori, ha avuto esiti ondivaghi all’interno dell’Unione. L’UE obbliga l’indicazione dell’origine in etichetta per le uova ma non per i prodotti derivati, per la carne fresca ma non per i salumi, per la frutta fresca ma non per i succhi e le marmellate, per il miele ma non per lo zucchero.
D’altra parte, non sono mancate le critiche verso "fughe in avanti come la tendenza all'introduzione di norme nazionali su materie armonizzate a livello comunitario”, considerate da Federalimentare come penalizzanti e nocive per il nostro Paese: "le norme che possono migliorare le informazioni per i consumatori sui prodotti alimentari sono fondamentali ma, in materia di etichettatura, devono essere discusse e condivise a livello europeo e non solo italiano", ha affermato il presidente Ivano Vacondio. Insomma, introdurre obblighi valevoli per le sole imprese italiane, che resterebbero le sole a sostenere l'aggravio dei relativi costi, le porrebbe in svantaggio competitivo rispetto alle altre imprese dell'UE, che non sono costrette ad applicare una normativa più ristretta.