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Il fenomeno degli incendi in Australia

Il continente australiano conosce da sempre la stagione degli incendi, che d’estate affliggono abitualmente alcune zone del paese. Gli eventi negli ultimi anni sono operò aumentati di intensità, con contraccolpi non comuni alle cose, alle persone e agli animali, ed effetti che indeboliscono l’economia

Dallo scorso settembre l’Australia è devastata da enormi ed inestinguibili incendi e la conta dei danni sale ogni ora. Alcune stime parlano di oltre 10 milioni di ettari bruciati, pari ad un’area equivalente a quella dell’intera Italia settentrionale, dalla Valle d’Aosta al Friuli e poi giù fino a tutta l’Emilia Romagna.
Oltre 6.000 edifici sono andati in cenere, generando più di 100 mila sfollati e 28 vittime.
L’Australia ha un territorio immenso, caratterizzato da una fauna straordinaria e unica: le perdite sotto questo aspetto sono inestimabili, perché molte specie sono autoctone e non esistono in altri territori.
Intere aree protette, come il sito Unesco del Wollemi National Park e Kangaroo Island risultano quasi interamente distrutte.
Non è la prima volta che questo fenomeno colpisce questa parte del mondo, o altre che sono ugualmente soggette a periodi torridi come quello che ha interessato negli ultimi mesi l’Australia, ma sono le dimensioni del problema che sono assolutamente inusitate.
Nel 2019 in Amazzonia sono andati in fumo quasi 900 mila ettari di foresta e oltre 4 milioni di ettari sono bruciati in Siberia. Lo scorso ottobre è andata a fuoco la California, con oltre 7.000 abitazioni evacuate, sotto un vento ardente e implacabile che soffiava a 130 chilometri all’ora.
Ma nessuno di questi fenomeni si è mai avvicinato a questo scempio: parliamo di una superficie praticamente doppia rispetto a quella degli incendi del 2019 e siamo ancora nel periodo centrale dell’estate australiana, che durerà almeno fino alla fine di febbraio. Insomma, l’estensione dei roghi e la loro simultaneità si pone certamente alla base della tragedia che interessa il paese.
Certo, il territorio di questo stato è immenso, come si è detto, e dunque in realtà solo una parte di esso, pari a meno del 2% è stata devastata dagli incendi. Inoltre non è questa la peggiore estate che il paese ricordi: pare che nel 1975 siano bruciati quasi 100 milioni di ettari, pari ad oltre il 10% dell’intero territorio.
Lo stato australiano più colpito è sicuramente il Nuovo Galles del Sud con 4,9 milioni di ettari andati a fuoco, 20 decessi e oltre 1600 abitazioni distrutte. Uno dei focolai, comunque, sta sfidando ogni record. Si tratta dell’incendio sviluppatosi nella zona di Gospers Mountain, che ha già bruciato oltre 500.000 ettari del tipico bush australiano, un ambiente piuttosto arido di erba ed arbusti bassi, sul genere della nostra macchia mediterranea. Secondo Ross Bradstock, dell’Università di Wollongong, questo potrebbe essere il più grande incendio singolo mai registrato nel paese (*).
Nel bush il fuoco viaggia a una velocità di circa 22 km all’ora, mentre un uomo allenato, per dare un’idea, riesce a correre ad una velocità di circa dieci chilometri orari. Questo dato rivela una prima difficoltà nel fronteggiare gli incendi e circa il fatto che gli stessi vadano rapidamente fuori controllo.
In alcune aree, inoltre, le fiamme hanno raggiunto altezze superiori ai 50 metri, e producono un’energia di 100.000 kW per metro lineare di fronte: in queste condizioni estinguere un incendio è quasi impossibile.
I mezzi aerei hanno infatti difficoltà a volare e a rilasciare acqua o agenti ritardanti, a causa della scarsa visibilità. I mezzi da terra, d’altro canto, non possono operare perché l’energia prodotta dal fuoco è oltre il limite di sicurezza, pari ad un’intensità di 4000 kW per metro lineare.

Le cause dei roghi
È probabile che ad accendere la miccia siano stati degli eventi naturali (come i fulmini), o accidentali, in seguito alla caduta di tralicci delle linee elettriche per i fortissimi venti che hanno interessato certe aree (si sono registrate raffiche ad oltre 100 km all’ora).
Molti altri incendi, tuttavia, sono attribuibili alla mano umana e dovuti ad errori fatali, divieti inascoltati e perfino a roghi appiccati dolosamente. Sono stati avviati procedimenti contro oltre 180 persone accusate di aver commesso reati connessi agli incendi boschivi, soprattutto nel Nuovo Galles del Sud, nello stato di Victoria e nel Queensland. Tuttavia, il Guardian sostiene che questi dati non abbiano molto senso e che molti arresti si riferiscano ad un periodo antecedente l’attuale stagione degli incendi. Non tutti, inoltre, sarebbero piromani: si tratta spesso di gente sbadata e poco informata, che ha gettato a terra mozziconi di sigaretta o fiammiferi, o non ha rispettato il divieto di accendere fuochi mentre si concedeva una grigliata. Solo 24 persone sarebbero state effettivamente arrestate per aver appiccato intenzionalmente i roghi.
Insomma la prima causa di innesco sembrano essere stati davvero i fulmini, seguiti da errori umani e solo in minima parte si sarebbe trattato di piromani.

Cosa ha permesso al fuoco di divampare con tale violenza?
Osservando le puntuali elaborazioni fornite dall’Australian Bureau of Meterology, è possibile rendersi conto di come le aree devastate dalle fiamme negli ultimi due anni e mezzo (a partire dagli inizi del 2017) abbiano sofferto una siccità estrema. Nel 2018 l’Australia ha infatti registrato precipitazioni inferiori del 40%, rispetto alla media.
L’indice di pericolo per gli incendi boschivi, che tiene conto dei dati relativi a temperatura, velocità del vento, umidità e siccità, è stato quindi molto al di sopra della media, rispetto ai dati registrati a partire dal 1950.
Il caldo anomalo, con una media mensile di 42°C e punte di 49°C, ha quindi disseccato la vegetazione, fornendo le condizioni ideali per gli incendi. Il forte vento ha poi funto da comburente, consentendo alle fiamme di propagarsi più efficacemente.
Inoltre, l’aria calda, il fumo e la cenere generati dagli incendi stessi salgono verso l’alto e si raffreddano, caricandosi di umidità. Si formano così delle nuvole temporalesche molto instabili, chiamate piro-cumulonembi, che possono trasportare ceneri ancora roventi su aree molto vaste, generare fulmini e innescare nuovi incendi. Si innesca cioè un classico fenomeno circolare, per cui dagli ampi roghi vengono generati altri roghi. I fortissimi venti caldi, infine, possono dare luogo ad un altro particolare fenomeno, chiamato firenado, ossia piccoli tornado di fuoco.






La questione del cambiamento climatico
I cambiamenti climatici che interessano il pianeta sono stati subito accusati di aver determinato gran parte degli avvenimenti che osserviamo in questo momento, anche da parte della popolazione australiana, che ha protestato vibratamente nei confronti del governo centrale.
In effetti, negli ultimi 70 anni le temperature medie si sono elevate di oltre 1,5 gradi e il 2019 è stato l’anno più caldo e più secco registrato dal 1910 a oggi. Il Paese, insomma, sta diventando sempre più caldo e arido, com’è accaduto in altri angoli del globo, per cause sempre ascritte ai mutamenti del clima.
Andrew Watkins del Bureau of Meterology, ad esempio, ha fatto chiaramente riferimento al Dipolo Positivo dell’Oceano Indiano (IOD). Si tratta di un’oscillazione irregolare della temperatura superficiale dell’oceano Indiano, per cui la sua parte occidentale diventa più calda (o più fredda) rispetto a quella orientale. Quest’anno la differenza di temperatura tra l’area est e ovest dell’oceano è stata una delle più accentuate degli ultimi 60 anni. Ciò ha provocato precipitazioni e inondazioni nell’Africa orientale, mentre ha portato siccità e caldo estremo nel sud-est asiatico, Australia compresa.
Gli studiosi ritengono che i cambiamenti climatici interferiscano anche con il ciclo dell’IOD e temono che eventi come quello che osserviamo possano aumentare la loro frequenza.
Insomma il cambiamento climatico sembra creare le condizioni ideali perché questi fenomeni risultino sempre più frequenti e disastrosi. In più, secondo i dati della NASA, gli incendi di questi mesi in Australia hanno rilasciato oltre 350 milioni di tonnellate di CO2, contribuendo pesantemente alla crisi climatica globale.
Ancora una volta, ci troviamo di fronte ad un ciclo di eventi che sembrano avvolgersi senza fine.
Certo, come si è detto, la storia di questo Paese ha visto innumerevoli incendi.
Quella australiana, anzi, è un tipo di vegetazione che ha bisogno del fuoco per rilasciare i propri semi e poi germinare nuovamente. Molte specie sono resinose e pertanto contengono oli infiammabili per approfittare del passaggio del fuoco e perdurare ed alcune specie come i canguri si nutrono dell’erba tenera che ricresce dopo gli incendi.
Possiamo quindi considerare il fuoco come parte integrante dell’ecosistema australiano, ma ci vuole molto tempo perché esso si rigeneri e la frequenza dei roghi sta accorciando molto le sue capacità in questo senso. Perfino il governo del paese ha affermato, in un rapporto del 2009, che un aumento di 2 °C della temperatura media annuale aumenterebbe l’intensità degli incendi e l’ampiezza dell’area bruciata del 25% e dimezzerebbe l’intervallo di tempo medio tra i roghi in molte aree australiane.
L’attuale governo conservatore, infine, non ha mai nascosto di puntare sull’estrazione del carbone, in barba agli accordi di Parigi, mentre il premier Scott Morrison è noto come “negazionista climatico”.

Danni alle persone
Oltre alle vittime del fuoco e degli incidenti dallo stesso causati, agli evacuati, alla distruzione di edifici e terreni, gli incendi stanno anche provocando danni diretti alle persone per l’enorme quantità di fumo prodotto.
Hanno fatto rapidamente il giro del mondo le immagini dell’Australian Open di tennis, quando a Melbourne, a causa dello smog provocato dalle fiamme, è stata annullata un'esibizione di Maria Sharapova, la slovena Jakupovic si è ritirata per una crisi respiratoria e un raccattapalle è svenuto durante una partita.
I giocatori più famosi hanno dovuto allenarsi al coperto e hanno infine deciso di lanciare una raccolta di fondi in favore delle vittime dei roghi.
Il New York Times, citando il gruppo di ricerca no profit Berkeley Earth, ha pubblicato un articolo nel quale si affermava che la peggiore qualità dell’aria sia stata registrata il 2 gennaio a Canberra, con una media di quasi 100 microgrammi per metro cubo di particolato sottile (il famoso PM2.5).
Sono anche state pubblicate foto satellitari nelle quali sembra che il fumo abbia raggiunto la Nuova Zelanda e perfino il Sud America.

La strage degli innocenti
Secondo le stime fatte dall’ecologo Chris Dickman dell’Università di Sydney, dall’inizio di settembre a oggi sarebbero morti oltre 500 milioni di animali, tra mammiferi, uccelli e rettili. Questo calcolo escluderebbe però i pipistrelli, gli anfibi, i pesci e ovviamente tutti gli invertebrati.
Si tratta di una stima basata sulla densità di questi animali per ciascun ettaro nel Nuovo Galles del Sud, moltiplicando il dato per l’area percorsa dal fuoco. Quindi è possibile che animali come canguri, emù ed uccelli siano riusciti a fuggire e a scampare dalle fiamme. Ciò non toglie, però, che quelli sopravvissuti al fuoco e al fumo, possano morire successivamente per la scarsità di cibo e di ripari.
Molte delle 300 specie endemiche, inoltre, hanno comunque visto distrutto il loro habitat.
Le stime parlano di 8.000 koala morti, circa un terzo di quelli presenti nel Nuovo Galles del Sud. Fortunatamente, secondo l’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) ci sarebbero oltre 100.000 koala in tutta l’Australia e dunque questi simpatici animaletti, che costituiscono uno dei simboli del paese, non sembrano essere sull’orlo dell’estinzione. Sono però indicati come vulnerabili: dal 1990 al 2010, infatti, la popolazione nazionale è diminuita del 28% per la deforestazione, la siccità estrema e gli incendi, appunto.

Le conseguenze economiche
A prescindere dalle inestimabili perdite umane e all’habitat, è evidente che le conseguenze economiche di una tragedia di questa portata siano enormi.
Il settore del turismo, in piena estate, ha già subito perdite ingenti, sia sul piano delle strutture distrutte che per quanto attiene al numero di visitatori.
I fabbricati e le abitazioni bruciati sono numerosissimi, il che sta producendo riflessi sull’industria assicurativa.
Una nota dell’Insurance Council of Australia informa che fino ad ora sono state presentate oltre 10.500 richieste di risarcimento per i wildfires (gli incendi boschivi), con perdite stimate intorno ai 650 milioni di dollari USA, ma si tratta di dati preliminari, che dovranno essere certamente aggiornati a più riprese.
Ma vi sono anche settori cui non si pensa, per lo meno d’acchito. In Australia vivono più pecore che persone. Si ritiene che 150 milioni di pecore vivano in questo paese, in pratica, un numero pari a 7,5 volte gli abitanti umani. In gran parte si tratta di pecore di razza merino, che produce la lana più fine e preziosa del mondo. La comprano i marchi della moda più famosi, primi fra tutti quelli italiani. Ermenegildo Zegna ha perfino acquistato una grande fattoria nel Nuovo Galles del Sud, Loro Piana una in Nuova Zelanda e tutte le aziende della moda italiane hanno sviluppato un legame molto stretto con questo paese. La lana merino australiana permette infatti di produrre tessuti di altissima qualità. Per fortuna, sembra che le pecore merinos australiane siano per lo più scampate agli incendi, perché non vivono libere ma all’interno di fattorie ed allevamenti. Eppure siamo nel picco di produzione di questa lana e alle prime aste gli operatori hanno notato un certo rialzo dei prezzi. Il prezzo medio, fino ad ora, è aumentato di oltre il 5% e gli esperti temono ulteriori rialzi.
La siccità e i continui black-out causati dai roghi rendono la vita degli allevatori piuttosto difficile. La mancanza di corrente elettrica impedisce infatti di azionare le pompe per l’acqua e la siccità riduce drasticamente l’estensione dei pascoli. È quindi probabile che i prezzi delle materie prime debbano salire, a causa della riduzione nel numero dei capi, determinando un aumento del prezzo dei prodotti finiti.
Roberto Colombo, dell’omonimo lanificio ha infine affermato che “… le ceneri hanno comunque fatto qualche danno e lo faranno, alle pecore, alle persone, ai pascoli. Non credo ci sia altra strada che impegnarci tutti come individui e singole aziende, a fare la nostra parte per l’ambiente. La stagione degli incendi esiste da sempre in Australia, ma non è possibile negare l’influenza del riscaldamento globale”.
Da qualunque lato lo si guardi, questo problema sembra essere legato indissolubilmente ai cambiamenti climatici.


(*) Fonte: L'Australia brucia: cause, dati e fake news sulla situazione bushfire, di Francesca Buoninconti