venticinque-anni-di-migrazioni-in-italia

Venticinque anni di migrazioni in Italia

Il rapporto tra i flussi migratori e il nostro Paese è complesso e ricco di sfumature: perlopiù positivo, ma anche attraversato da ombre sinistre. La stretta sull’asilo e sulla protezione umanitaria rischia di produrre effetti difficili da prevedere

In Italia, una persona su 10 non è cittadino italiano. Negli ultimi 25 anni, la popolazione straniera è cresciuta da quasi 922mila residenti del 1998, ai sei milioni e 222mila presenti, tra regolari e non, calcolati al primo gennaio dell’anno scorso. È questa la stima della Fondazione Ismu nel suo 25esimo Rapporto sulle migrazioni. L’edizione 2020 è particolarmente importante perché fotografa una porzione significativa di tempo, 25 anni, praticamente una generazione, e soprattutto indaga un periodo particolarmente complesso e ricco di sfaccettature e cambiamenti nel rapporto tra migrazioni e il nostro Paese.

Un’integrazione silenziosa 

Negli ultimi 25 anni, si diceva, la presenza di migranti in Italia si è consolidata ma anche stabilizzata. Occorre guardare, per esempio, alle acquisizioni di cittadinanza dal 1998 al 2018, che hanno raggiunto un totale di quasi un milione 366mila. Il trend degli alunni delle scuole con cittadinanza non italiana ha attraversato tre fasi: una di avvio, una di accelerazione e infine una di stasi. Dalle 50mila presenze dell’anno scolastico 1995/96 si è arrivati alle 842mila del 2017/18. I lavoratori stranieri sono via via diventati una componente strutturale del nostro sistema produttivo, in un quadro di successo del processo di accoglienza e integrazione: per la stragrande maggioranza dei migranti residenti in Italia l’integrazione procede silenziosamente e in modo positivo, nonostante ostacoli e zone d’ombra. Ben l’84% degli stranieri in Italia è regolarmente iscritto all’anagrafe, il 6,5% è regolare ma non iscritto in anagrafe, mentre il 9% è privo di un valido titolo di soggiorno.

Il crollo dell’asilo e della protezione umanitaria 

Venendo alle politiche che hanno caratterizzando gli ultimi anni, nel 2018 sono stati rilasciati 242mila nuovi permessi di soggiorno, con una riduzione dell’8% rispetto al 2017, a causa del calo dell’asilo politico o del soccorso umanitario. Guardando nel dettaglio gli esiti delle richieste di asilo, la percentuale dei dinieghi è passata dal 30% (prima istanza) del 2013 all’80% nei primi sette mesi del 2019. A seguito dell’abolizione della protezione umanitaria, i rifiuti hanno subito un’impennata, senza considerare che tale abolizione, fa notare Ismu, avrà un significativo impatto sulla presenza irregolare e non si sa per quanto tempo durerà l’onda lunga di questo effetto. Guardando al mercato del lavoro, su quasi 4 milioni di persone in età da lavoro (15-64) a fine 2018 gli occupati erano circa 2 milioni 455mila. In generale, il tasso di disoccupazione tra gli stranieri è del 14%, mentre tra i cittadini italiani è al 10,2%. La concentrazione nei lavori meno qualificati rende gli stranieri particolarmente numerosi tra i cosiddetti working poor: nel 2018 i lavoratori extracomunitari hanno percepito una retribuzione media annua pari a 13.992 euro, inferiore del 35% a quella del complesso degli occupati.

Soprattutto rumeni 

Per quanto riguarda le nazionalità rappresentate nell’immigrazione italiana, un milione e 583mila sono cittadini dell’Unione europea e tre milioni e 673mila cittadini di Paesi terzi. I più numerosi in assoluto sono i rumeni (1,2 milioni), mentre un milione e 140mila vengono dall’Africa (Marocco, Egitto, Nigeria, Senegal e Tunisia), ma crescono anche molto le presenze dalla Guinea (+20%), Guinea Bissau (+19%) e dal Gambia (+17%). I residenti originari dall’Asia sono poco meno di 1,1 milione, la maggior parte dei quali arriva da Cina, Filippine, India, Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka. Circa 380mila sono, infine, i latinoamericani.

Ue: aumentano i fondi ma non per l’accoglienza 

Tre le questioni più importanti evidenziate dal rapporto c’è il nuovo Quadro finanziario pluriennale (Qfp) dell’Unione Europea, che sarà definito entro la prima metà di quest’anno e che sarà indicativo anche dell’atteggiamento delle istituzioni riguardo alle politiche migratorie. Queste politiche hanno sempre rappresentato una parte molto esigua nel budget Ue: nel periodo 2014-2020, solo lo 0,93% dei fondi era destinato a finanziare le politiche migratorie. Nelle proposte per gli anni 2021-2027, la percentuale sarà più che raddoppiata, al 2,7%, per un corrispettivo di circa 35 miliardi di euro. In realtà, però, la maggior parte dei fondi sarà destinata al controllo delle frontiere e all’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Mentre il Fondo per la migrazione e l’asilo dovrebbe aumentare del 36% rispetto al ciclo 2014-2020, le risorse allocate per la gestione delle frontiere aumenterebbero del 197%.