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Vaccini e controversie

Il caso degli obblighi vaccinali apre una riflessione sul valore del confronto scientifico e tra comunità di scienza e cittadini. Nel dialogo assumono un ruolo anche il valore della libertà di scelta e la responsabilità politica

Sulla conoscenza si registra un numero crescente di controversie fra esperti, presunti tali e autoproclamati non esperti, che, a volte, finiscono addirittura davanti a un giudice, invocato nel suo ruolo di esperto degli esperti assegnatogli dal diritto vigente. Nella società della conoscenza, il parere esperto è di vitale importanza per ciascuno di noi in infinite attività, nelle quali non abbiamo né controllo né comprensione esperta dei processi che noi stessi attiviamo. È quindi davvero opportuno parlarne.
Dobbiamo però distinguere almeno fra due famiglie di controversie. Alcune, infatti, vedono una più o meno forte maggioranza di scienziati di una data disciplina contrapporsi a una più o meno agguerrita minoranza che, dall’interno stesso della disciplina o da discipline a essa contigue, sostiene posizioni diverse. A volte questa controversia scientifica arriva ai cittadini e si può assistere ad alleanze di quella minoranza con movimenti di opinione.

Non indebolire il contradditorio
La controversia nella scienza, in effetti, è più frequente di quanto si creda; ed è un fattore in sé persino positivo, perché impedisce la sclerosi del pensiero scientifico che ne è la negazione (scolasticizzazione). Inoltre, qualche contestazione alla scienza può trovare sponda in un certo declino di qualità scientifica delle pubblicazioni, come lamentano spesso alcuni degli scienziati più accorti, preoccupati dell’effetto perverso di una valutazione dei ricercatori basata sul numero di pubblicazioni: un eccesso di pubblicazioni, in settori “di moda” sul momento, fatte di fretta (ridondanza su aspetti marginali o addirittura parziali, campioni statistici poco rappresentativi, correlazioni spacciate per regolarità eziologiche ecc.) e in qualche caso persino con dolo (plagi, forzatura dei risultati, ecc.). Al motto frenetico publish or perish si è ormai sostituito il lugubre publish and perish, in cui è la scienza stessa a perire. Se il numero degli articoli scientifici ritirati dalle riviste dopo che sono stati pubblicati è in aumento e se a preoccuparsi è l’editor di Lancet, la più prestigiosa rivista scientifica in campo medico, la cosa si fa preoccupante. Dunque, a volte ci si può sentire legittimati a scovare nella comunità scientifica pareri in controtendenza.

Scienziati vs comunità locali
Altre controversie sorgono, invece, fra una comunità scientifica sostanzialmente concorde e movimenti sociali che fanno proprie delle rivendicazioni di parte dell’opinione pubblica, spesso di comunità locali. In questi casi si possono scontrare i modelli generali tipici della scienza ed esperienze accumulate localmente. Non è sempre facile bilanciare il giudizio scientifico elaborato nella comunità scientifica internazionale e la scelta democratica che impegna singole comunità. A volte, è persino facile che si inseriscano soggetti estranei, magari portatori di interessi nascosti o semplicemente in cerca di notorietà, che facciano leva su timori più o meno fondati: è il caso tipico delle fake news. Nelle nostre società democratiche, il ruolo del decisore politico diviene particolarmente critico: la controversia si presenta come un conflitto fra ragione scientifica e volontà popolare e la scelta è impossibile.

Meglio scegliere se rischiare

Il caso dei vaccini è in certa misura di questo secondo tipo. Non esiste, infatti, alcun articolo scientifico che argomenti una correlazione, ad esempio, tra vaccini e autismo (disturbi dello spettro autistico), ma si è assistito in anni recenti a un calo nella copertura vaccinale. Persino un’eventuale correlazione, da sola, non varrebbe per un rapporto di causa-effetto, comunque non risulta neppure. È pur vero, però, che l’assunzione di qualsiasi farmaco espone a rischi, anche per il più sicuro come certamente sono i vaccini in circolazione, e che la somministrazione forzata e di massa, per assicurare non solo la copertura del singolo ma anche una statisticamente adeguata “copertura di gregge”, è poco accettabile. È notorio, infatti, che, fra un rischio assunto su base volontaria e uno di medesimo profilo di rischio ma assunto per costrizione, questo secondo è in linea di principio molto meno accettabile. E il motivo è in sé ragionevole: scegliamo di usare l’automobile per le vacanze, pur sapendo che nel 2018 in Italia ci sono state 3.334 vittime e 242.919 feriti (dati Istat), ma essere obbligati ad assumere un rischio anche molto minore per una scelta che da noi non faremmo, suscita indignazione e può far sorgere più facilmente sospetti dietrologici se non si è lavorato sulla costruzione di fiducia.

Le tre strade dell’autorità
In una società democratica, per altro, la fiducia è concessa sempre meno ciecamente e si pretende sempre più di farsi un’opinione e che questa venga poi ascoltata. Comunque, non è detto che questo sia un male, semmai lo è la perdita di credibilità delle istituzioni.
Certo, che il Ministero della Salute a inizio 2018, in prossimità del termine del mandato elettorale, sia passato improvvisamente da 4 vaccini obbligatori a 12, - questa la proposta iniziale, e poi a 10 - senza un’adeguata campagna di comunicazione ai cittadini, non ha certo contribuito a rafforzare la credibilità delle istituzioni né a sviluppare un’opinione pubblica favorevole ai vaccini, come rilevato anche da Silvio Garattini, fondatore dell’Istituto farmacologico Mario Negri e suo direttore fino al 2018.
In teoria, per decisioni d’autorità in questi casi sono possibili tre strade. La prima è imporre l’obbligo e inasprire le pene per i trasgressori (si è ventilata addirittura l’ipotesi della sottrazione della patria potestà). La seconda è introdurre degli incentivi (questi sono i nudge, strumento discutibile sotto molti punti di vista, che hanno fruttato al suo principale fautore, Richard Thaler, un premio Nobel per l’economia nel 2017). La terza via che, in assenza di emergenze, di gran lunga preferisco, è una campagna comunicativa che apre la “scatola nera” della ricerca, favorisce la formazione di consenso su scelte che hanno limitate e controllabili controindicazioni e sviluppa fiducia reciproca fra esperti e non esperti.