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L’economia comportamentale della privacy

Gli utenti risultano più partecipi e accondiscendenti nella gestione dei propri dati quando vengono coinvolti nel processo di approvazione. Un meccanismo di cui tener conto quando si accettano velocemente condizioni di condivisione delle informazioni

L’attribuire più potere all’utente nella gestione dei propri dati è uno degli obiettivi a cui mira il Regolamento Europeo 679/2016.
Il soggetto dovrebbe essere messo nelle condizioni, come stabilisce il Capo III denominato “Diritti dell’interessato” di poter aver coscienza dell’utilizzo dei dati che presta, ed inoltre di accedervi, rettificarli, cancellarli, limitarli…Tutto ciò però richiederebbe un’informazione completa a favore dell’interessato che gli permetta di agire coscientemente.
Numerosi studi sono stati portati avanti per analizzare come si comportano gli utenti davanti all’utilizzo e al potere di disporre dei propri dati.
In particolare l’economia comportamentale della privacy è una branca degli studi che si occupa di analizzare il comportamento degli utenti ed in particolare come le decisioni che essi adottano in materia di privacy possano essere influenzate da euristiche, ossia da fattori che in realtà dovrebbero avere ben poca importanza.

Il consenso aumenta quando viene richiesto
Uno dei massimi esperti è il Alessandro Acquisti della Carnegie Mellon University, che nella sua pubblicazione Misplaced Confidences: Privacy and the Control Paradox pubblicata con Laura Brandimarte e il collega George Loewenstein hanno portato alla luce come il far sentire l’utente finale più partecipe nella gestione dei propri dati lo renda molto più accondiscendente nel consentire un loro utilizzo.
Negli esperimenti da loro condotti, hanno sottoposto ad una prima platea eterogenea di persone un test con domande più o meno personali, prevedendo fin da subito che tutte le risposte sarebbero state volontarie ma, rispondendo, si consentiva automaticamente l’utilizzo delle stesse.
Un secondo gruppo di persone è stato sottoposto alle stesse domande, impartendo però istruzioni diverse: le risposte sarebbero state anche qui volontarie ma non si consentiva automaticamente il loro utilizzo bensì andava prestato un apposito consenso con una spunta per ogni domanda.
L’esito è stato incredibile: nel primo gruppo di persone la probabilità che esse abbiano risposto alle domande più sensibili è stata pari al 42%, mentre nel secondo gruppo la percentuale è raddoppiata.
Paradossalmente facendo sentire le persone più in controllo dei loro dati, queste iniziano a prendere più rischi e si crea più divulgazione.
La situazione non è idilliaca ma neppure tragica, occorre che le persone s’informino maggiormente ogniqualvolta prestino consenso, specialmente oggigiorno che sono molto più frequenti gli smart contracts di cui spesso si accettano le condizioni direttamente da uno smartphone senza neppure leggerle.