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L’impatto del Gdpr sui portali con pubblicità

Chi temeva un calo dei ricavi per i siti web europei a causa dell’entrata in vigore del regolamento è stato sconfessato: un’analisi del professor Alessandro Acquisti spiega perché

Lo scorso 19 giugno si è svolto al Cnr di Pisa l’ottavo Privacy day forum organizzato da Federprivacy. Tra gli ospiti, accademici ed esperti in materia, spiccava la presenza del professor Alessandro Acquisti, docente di Information technology e Public policy presso l’Heinz College della Carnegie Mellon University.
Acquisti ha aperto il suo intervento raccontando in cosa consistono i tre filoni di ricerca che ha approfondito con il suo team negli ultimi cinque anni: l’economia della privacy, l’economia comportamentale della privacy e la privacy nei social network. Il professore ha poi parlato delle sue pubblicazioni effettuate su Science, dove ora si stanno concentrando i suoi studi incentrati sul “benessere economico della privacy”, cioè sull’impatto che la protezione e la condivisione dei dati hanno sul benessere economico dell’individuo. Questo approfondimento è stato sviluppato secondo tre direttrici: l’analisi dell’allocazione del surplus economico generato dai dati personali; l’analisi dei costi e dei guadagni, in particolare per i siti che vendono pubblicità mirata (target advertising); l’analisi dell’impatto del Gdpr sui contenuti online dei siti supportati dagli annunci pubblicitari.

Nessuna differenza significativa tra Ue e Usa
Quest’ultimo filone di ricerca, in particolare, ha destato molto stupore, sebbene le conclusioni siano per il momento solamente preliminari. La communis opinio è quella di ritenere che, partendo dall’assunto che il Gdpr richiede una specifica autorizzazione al tracking degli utenti, ne deriverebbe una diminuzione delle probabilità che l’utente effettivamente presti tale consenso, e quindi l’annuncio dovrebbe avere un minor valore con la conseguenza che anche i ricavi del sito dovrebbero calare (e a seguire la qualità dei contenuti pubblicati dallo stesso).
Ma, secondo Acquisti, non ci sarebbe niente di più sbagliato. Da questa regolamentazione non deriverebbe infatti nessun market failure, ma solamente qualche oscillazione con l’entrata in vigore del regolamento. In particolare, ha rilevato il professore, mentre i cookies di prime parti, ossia quelli gestiti direttamente dal sito, hanno avuto un andamento regolare, quelli di terze parti sono drasticamente diminuiti a maggio 2018, per timore di eventuali violazioni della normativa, ma pian piano stanno tornando ai livelli precedenti (se non oltre) spinti probabilmente dal fatto che le infrazioni contestate sono state sporadiche e di lieve entità.
Solo alcuni siti americani, che non dipendevano troppo dai visitatori europei, invece di adeguarsi alla nuova disciplina hanno preferito bloccare le loro pagine ai visitatori del vecchio continente.
Sconfessando le aspettative, il quadro che emerge non mostra differenze significative in termini di quantità e qualità dei contenuti tra siti dell’Unione europea e quelli statunitensi dopo l’entrata in vigore del Gdpr.