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Il presente e il futuro della finanza verde

I green bond rappresentano ancora solo l'1% del mercato obbligazionario globale, tuttavia Standard & Poor’s nelle azioni sui rating tiene in crescente considerazione i principii di sostenibilità ambientale e sociale

Il mercato globale dei green bond è cresciuto dell’85% nel 2017 rispetto all’anno precedente e per il quinto anno consecutivo le emissioni battono record di crescita, raggiungendo uno stock complessivo di 300 miliardi di dollari, grazie proprio ai 156 miliardi dell’anno appena trascorso. La previsione per il 2018 è di altre 200 miliardi di emissioni verdi. E in tutto questo l’Italia dov’è? Per il nostro Paese, i green bond rappresentano uno spicchio esiguo delle proprie emissioni obbligazionarie: dalla prima offerta, risalente al 2014, ne sono state fatte 12 e a oggi lo stock complessivo di bond verdi italiani ammonta a sei miliardi di dollari. “L’Italia non è quindi estranea a questo fenomeno”, ha detto Michael Wilkins, managing director sustainable finance di Standard & Poor’s durante l’Italian sustainable finance & investments conference, che si è tenuta a Milano nei giorni scorsi. “Energia, efficienza, utilizzo sostenibile del territorio e trasporti – ha continuato il manager di S&P – sono i settori in cui si concentrano maggiormente i progetti legati ai green bond”.


STATI UNITI E CINA IN TESTA, NONOSTANTE TRUMP 

L’universo delle emissioni obbligazionarie per finanziare progetti sostenibili e di salvaguardia ambientale è quindi in grande crescita a livello mondiale e anche in Italia. Il settore è composto da circa 600 emittenti provenienti da 40 Paesi con bond in 29 valute diverse. Le economie emergenti svolgono un ruolo crescente all’interno anche di questo mercato. Il 2017 ha visto lo sviluppo di politiche governative di supporto in Paesi come Singapore, India, Nigeria e Brasile. La Cina è a tutt’oggi uno dei maggiori emittenti al mondo di obbligazioni verdi. 

Anche le decisioni politiche che sembrano andare contro i principii di sostenibilità ambientale non riescono a fermare il mercato. La scelta del presidente Donald Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo sul clima di Parigi (Cop 21) non ha rallentato la crescita delle emissioni obbligazionarie verdi, giacche nel 2017 gli Stati Uniti sono diventati un emittente di alto livello, principalmente grazie a emittenti municipali (i governi delle città) e alle aziende. 

 Ma i green bond sono sempre più utilizzati dai governi nazionali per finanziare i loro obiettivi legati proprio all’accordo di Parigi. Solo nello scorso anno, la Francia ha emesso titoli verdi per circa 7,5 miliardi di dollari. Tuttavia, quando si guardano i volumi, ci si accorge che questi strumenti finanziari rappresentano ancora una nicchia, giacché le emissioni green sono ancora solo l’1% del totale dei titoli che compongono l’universo obbligazionario. 


ALLA RICERCA DI UN BENCHMARK DI SOSTENIBILITÀ

Ma questo non vuol dire che il tema della sostenibilità non sia rilevante nelle scelte e nelle politiche d’investimento di aziende, banche e governi, come abbiamo visto. Standard & Poor’s ne è talmente convinta che nell’aprile scorso ha creato il team di sustainable finance, cui ha posto a capo Mike Wilkins. Al centro del lavoro della squadra di analisti c’è appunto l’impegno di ricerca sulla sostenibilità ambientale, sociale e di governance, i cosiddetti principii Esg. 

Il team di sustainable finance ha l’obiettivo di rafforzare ulteriormente l’impegno di S&P nelle analisi per fornire maggiore trasparenza e informazioni strategiche sui fattori Esg, così da fare in modo che gli investitori possano guardare alla finanza verde con più fiducia e sicurezza. All’aprile scorso, lo strumento di valutazione del rating verde (Green evaluation), lanciato un anno prima dalla casa americana, era stato già utilizzato per analizzare 20 operazioni, pari a un totale di 26 miliardi di dollari in titoli di debito, distribuite in tutte le principali asset class e aree geografiche. 

Il senso del lavoro di S&P in questo campo è quello di offrire al mercato un approccio comune nell’incorporazione dei fattori Esg nelle analisi di rischio, così da creare un benchmark di sostenibilità. Per fare un esempio, tra la metà del 2015 e la metà del 2017, su un totale di 9000 analisi, Standard & Poor’s ha individuato 717 casi in cui le valutazioni dei rischi ambientali hanno costituito un fattore di approfondimento e di questi, sono stati 106 i casi in cui tali rischi sono stati poi fondamentali per l’assegnazione del rating. Nel periodo 2013-2015 i numeri erano stati molto più esigui: 299 e 56.