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Migranti, la verità secondo l’Ispi

L’istituto per gli studi di politica internazionale presenta il secondo fact checking sulle migrazioni. Calano gli sbarchi, ma resta alta la pressione sul sistema di accoglienza. Dati alla mano, viene smentita la relazione tra ruolo delle Ong e flussi nel Mediterraneo. Confermata invece l’assenza di una politica europea a sostegno dell’Italia

Un sistema di accoglienza sotto pressione, nonostante il sensibile calo del numero degli arrivi. Lo scenario delle migrazioni internazionali verso l’Italia appare in controtendenza. Lo certifica l’analisi dell’Istituto per gli studi di politica internazionale che presenta il secondo Fact checking. Nei primi quattro mesi del 2018, si è registrato un calo degli sbarchi del 75%, rispetto allo stesso periodo del 2017. Per l’Ispi è un dato che può essere già indicativo dell’andamento dell’anno in corso, perché i flussi iniziano a crescere ad aprile, per raggiungere il picco tra giugno e agosto. Salvo eccezioni, come quella del 2016, con il calo degli sbarchi che è iniziato in piena estate, dal 15 luglio, un trend che prosegue fino ad oggi. Tuttavia, il calo degli ultimi mesi non è sufficiente per portare alla normalità il sistema di asilo. Gli uffici riescono a valutare in media 7.000 richieste al mese, una quota rimasta immutata da metà 2015. La riduzione delle domande di asilo presentate tende a ridurre l’accumulo di domande da esaminare. La tendenza sembra portare a un rapido raggiungimento della parità mensile tra decisioni e richieste, mentre restano sul tavolo le domande ancora da evadere, che a inizio 2018 sfioravano le 150.000, una quota superiore di ben dieci volte a quella di gennaio 2014. Secondo l’Ispi, tenendo costanti i ritmi di valutazione delle domande tenuti nel 2017, l’Italia avrebbe bisogno di quasi due anni (senza sbarchi) per rispondere a tutti i richiedenti asilo in attesa. Indecoroso il confronto con la Germania, dove il sistema d’asilo riesce a valutare 50.000 domande al mese. 

Le Ong non incentivano gli sbarchi
C’è chi provocatoriamente li chiama “taxi del mare”. Sono le barche gestite dalle organizzazioni non governative nel Mediterraneo, spesso accusate di essere un incentivo ai flussi migratori. L’Ispi ha voluto smentire quella che appare come una fake news. È vero, sottolinea il report, che è aumentato esponenzialmente l’incidenza del ruolo delle Ong nel Mediterraneo. Se nel 2014, il numero dei salvataggi in mare era marginale (l’1% dei soccorsi), nel 2017 sono diventate il 41%. I dati sulla variazione mensile degli sbarchi smentisce qualsiasi correlazione. In molti casi, a un deciso aumento dei salvataggi mensili da parte delle Ong, è corrisposto un calo degli arrivi via mare. I flussi del Mediterraneo sembrano in realtà legati alle attività dei trafficanti che sulla costa, soprattutto libica, gestiscono la richiesta di “servizi di trasporto”.

Emergenza Sprar
Alla luce dell’aumento degli sbarchi, il sistema Sprar ha visto aumentare i posti a disposizione dei richiedenti asilo. Un aumento di 21000 posti dal 2012 al 2017, per un totale di circa 25.000 posti. Un impegno che, sottolinea l’Ispi, non basta. Nel 2017, infatti, l’86% dei richiedenti asilo e rifugiati accolti dal sistema di emergenza e di prima accoglienza si trovava in centri temporanei o di emergenza, ossia in strutture non Sprar.

Il fallimento dei ricollocamenti
Sono 350.000 le persone sbarcate in Italia, tra settembre 2015 e aprile 2018. Secondo l’Unione Europea, 35.000 richiedenti asilo dovevano essere ricollocati (appena il 10% del totale degli arrivi). Il problema è che l’Unione ha scelto di ricollocare solo i più bisognosi di protezione: siriani, somali e eritrei. Il fact checking Ispi sottolinea che tra settembre 2015 e settembre 2017 hanno fatto richiesta d’asilo in Italia meno di 21.000 persone provenienti da questi paesi, di cui solo 13.000 richiedenti asilo sono stati accolti da altri Paesi europei. In proporzione, si tratta del 4% degli sforzi italiani. L’Unione è poco attiva anche sul fronte del sostegno economico: nel 2017, gli aiuti Ue ammontavano a meno del 2% dei costi incorsi dallo Stato italiano per gestire il fenomeno migratorio.