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Migranti, il rebus dell’integrazione europea

Bassi livelli di istruzione e salariali fanno crescere le divergenze tra nativi e stranieri. Un dato che interessa direttamente i Paesi europei, da cui proviene la maggioranza dei flussi

Stranieri, in casa. La seconda edizione del Migration observatory annual report on immigrant integration mette in luce il paradosso delle migrazioni del nostro continente. Infatti, secondo la ricerca elaborata dal Collegio Carlo Alberto e dal Centro studi Luca d’Agliano, più della metà degli immigrati nei paesi dell'Ue sono europei (il 54,3%): il 37,7% della popolazione straniera dell’Unione è nato entro i confini dell’Unione stessa, mentre un ulteriore 16,6% è nato in un Paese europeo al di fuori dell'Unione. Africa e Medio Oriente sono il punto di partenza del 23% di tutti gli immigrati, con un ulteriore 11,9% proveniente dall’Asia e 11,1% dalle Americhe o Oceania. Nel 2016, il numero di immigrati nell’Unione europea era di 51 milioni, circa il 10% di popolazione totale. La maggior parte di loro (46 milioni) vive in un Paese dell’Ue, dove rappresentano 12% della popolazione totale. A livello di Ue, la composizione degli immigrati nei vari livelli di istruzione è abbastanza equilibrata: il 32% ha ricevuto un’istruzione terziaria, mentre il 33% ha completato al massimo l’istruzione primaria. 
Il primo dato che emerge è l’eterogeneità nella concentrazione degli immigrati tra i vari paesi. Si passa dallo 0,1 e 0,2% di Romania e Bulgaria, al 20% di Cipro e Svezia, fino al 30% della Svizzera. Il primato spetta al piccolo e ricco Lussemburgo, dove il 48% della popolazione è straniero. Nella maggior parte dei casi, gli immigrati mantengono la residenza nello stesso Paese per lungo tempo. Infatti solo un migrante su cinque (il 19,4%) ha vissuto nello stesso Paese per meno di cinque anni. Un dato medio, che nasconde delle eccezioni significative, come Germania e Regno Unito dove la quota dei residenti stranieri di breve periodo sale al 31%. 

 

Migranti in Italia, +31% dal 2009
Anche in Italia la stragrande maggioranza degli immigrati è residente da più di cinque anni. Nel 2017, due migranti su tre sono nel Bel paese da oltre dieci anni, mentre solo il 10% è arrivato da meno di cinque anni. Gli immigrati europei rappresentano il 56% della popolazione straniera; prevalgono decisamente i nativi nell’Europa centro-orientale che insieme formano il 44% del totale degli stranieri. Rispetto agli altri paesi Ue, i migranti si caratterizzano per un livello inferiore di istruzione, che però è in linea con il livello degli autoctoni; tuttavia, sottolinea il report, si assiste a un deterioramento dell’educazione degli stranieri. Tra il 2009 e il 2017, il numero di immigrati in Italia è aumentato da 4,5 milioni a 5,9 milioni, una crescita del 30,9%. Nel 2017 gli immigrati rappresentano quasi il 10% della popolazione totale in Italia. Nonostante l’ondata dal 2009, questa quota è ancora inferiore, ad esempio, alla Germania (13,3%), Francia (11,8%) e Regno Unito (13,3%). Nativi e immigrati sono simili anche per tasso di occupazione, nel 2017 pari rispettivamente al 65 e al 64%, ma il livello di istruzione sta minando la probabilità di assunzione. A livello occupazionale, c’è una importante distinzione di genere: gli uomini immigrati hanno una probabilità di occupazione superiore di tre punti percentuali rispetto ai nativi, dovuto principalmente alla loro localizzazione nelle regioni italiane con mercati del lavoro più forti. Al contrario, le donne immigrate mostrano un gap di -2,4 punti percentuali rispetto alle donne italiane. Però, tra il 2009 e il 2017, la probabilità di occupazione dei nativi è aumentata di 1,5 punti percentuali, mentre per gli immigrati è diminuito di quasi quattro punti percentuali punti.


Salari più bassi per gli stranieri


Se gli immigrati in Italia hanno più probabilità di trovare occupazione, una possibile spiegazione può anche essere nella paga inferiore a quella dei nativi. Nel 2017 l’immigrato guadagna in media circa il 9% in meno rispetto ai nativi con le stesse caratteristiche e medesima occupazione. Si tratta di un incremento di tre punti percentuali rispetto al 2009, quando il divario era del 6%. Complessivamente, tuttavia, gli stipendi mensili netti degli immigrati sono in media del 26% inferiori a quelli dei nativi nel 2017. Incide la bassa qualificazione professionale e il più alto livello di precariato. La ricerca mette inoltre in evidenza che molti immigrati non hanno un’occupazione adeguata per il loro livello di istruzione. Questo disallineamento tra istruzione e occupazione è persistente nel tempo.