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L’Italia nelle parole dell’Isis

Nessun attentato, ma un ruolo centrale nella narrativa della propaganda terroristica: secondo uno studio dell’Ispi, sono ben 432 i riferimenti al nostro Paese nei contenuti in inglese dello Stato Islamico

Nessun attentato terroristico di matrice islamica, appena 130 foreign fighters partiti dal nostro Paese per unirsi alla jihad dell’Isis in Siria e Iraq. Eppure, nonostante questo quadro di calma apparente, l’Italia ha ricoperto (e continua a ricoprire) un ruolo centrale nella propaganda terroristica dello Stato Islamico: video, fotomontaggi e tweet. Pure discorsi ufficiali e citazioni nelle riviste distribuite online fra la rete di affiliati. Una frequenza che appare sproporzionata rispetto alla relativa tranquillità delle cellule terroristiche in Italia, ma tant’è. E si arriva così al risultato, stando a un recente studio dell’Ispi, di ben 432 riferimenti al nostro Paese nei contenuti ufficiali in inglese dell’Isis dalla proclamazione del Califfato nel giugno 2014.
Un dato che risulta senza dubbio ridimensionato rispetto alle reali dimensioni del fenomeno, visto che, come ammettono gli stessi curatori del rapporto, “non si può escludere che alcuni riferimenti salienti non siano stati individuati”. E che, soprattutto, la pubblicazione non tiene conto delle pubblicazioni in lingua araba e del materiale non ufficiale: si stima che nell’estate del 2015 si producessero circa 900 strumenti di propaganda al mese.

Roma, caput propagandae
Che l’Italia fosse centrale nella propaganda terroristica, lo si era capito già dalle battute iniziali dello Stato Islamico. Già nel luglio del 2014, per esempio, il califfo Abu Bakr al-Baghdadi aveva così asserito nel corso di un sermone: “Questi sono i consigli che vi offro; se vi atterrete, conquisterete Roma e diventerete padroni del mondo, a Dio piacendo”. Ancora prima Abu Ayyub al-Maṣri, militante jihadista scomparso nel 2010, aveva dichiarato: “Non fermeremo la nostra jihad fino a quando non saremo sotto gli ulivi di Roma”. Da lì in poi, come noto, è stato tutto in crescendo.
Il caso più eclatante è senza dubbio la copertina nel n° 4 di Dabiq, una delle riviste dello Stato Islamico: un fotomontaggio in cui l’obelisco di Piazza San Pietro è sovrastato dalla bandiera nera dell’Isis. E poi ancora, nel settembre del 2016, la scelta di intitolare Rumiyah, ossia la traduzione araba di Roma, il magazine ufficiale del Califfato.
Le allusioni a Roma sono costanti e capillari: nello studio di contano ben 299 riferimenti alla Capitale, ben distribuiti fra articoli, video, discorsi ed ebook. Un dato che non appare affatto casuale, visto che la città viene spesso assurta a simbolo dell’Occidente e della Cristianità: parlare di Roma, più che della Capitale in sé per sé, significa parlare degli avversari dell’Isis. Pesa poi una certa narrativa, inaugurata dall’hadith del Sahih del Muslim, che vede nella sconfitta di Roma l’inizio della definitiva epoca dell’Islam. Semplici parole della tradizione che tornano così, nel terzo millennio, amplificate dalla macchina propagandistica dell’Isis. Il versetto “l’Ora del Giudizio non si leverà finché i Romani non si saranno accampati ad al-Amaq o a Dabiq” viene ripetuto come un mantra in svariate pubblicazioni ufficiali dello Stato Islamico.

Fra suggestioni, minacce ed errori grossolani
La stragrande maggioranza dei riferimenti all’Italia (184) fa capo alla categoria delle suggestioni, ossia allusioni storico-religiose che possano incitare gli affiliati e iscrivere la marcia dello Stato Islamico all’interno di una più ampia narrativa. Il nostro Paese viene visto come il centro della Cristianità e, pertanto, come il simbolo principale dell’Occidente e dei nemici dell’Islam. I riferimenti storico-religiosi si intrecciano a profezie che, come nel caso del già citato hadith, sembrano presagire l’imminente vittoria dell’esercito islamista. “I musulmani avanzeranno verso Costantinopoli e successivamente Roma, per conquistarle e innalzarvi la bandiera del Kilafah”, si legge per esempio nel n° 4 di Dabiq.
Le minacce dirette, tuttavia, non mancano. E risultano serie e degne della massima attenzione. Anche perché, come ha ricordato recentemente anche la nostra intelligence, l’arretramento dello Stato Islamico in Siria e Iraq potrà riflettersi in un più vivace attivismo in Europa e negli Stati Uniti.
Il rapporto conta 106 minacce, pari al 25% del totale dei riferimenti al nostro Paese. I video rappresentano uno dei format più utilizzati. Un esempio è dato da un filmato prodotto nel febbraio 2015 da al-Hayat Media Center, la casa di produzione dello Stato Islamico, in cui viene mostrata la decapitazione di 21 cristiani copti in Libia. “Siamo qui, a sud di Roma, nella terra dell’Islam, in Libia”, afferma un miliziano. E ancora: “Conquisteremo Roma, a Dio piacendo”.
Parole a cui si accostano le ormai note istruzioni per l’esecuzione di attacchi, con coltello o tipi rudimentali di esplosivi. E pure qualche errore grossolano. In vari ebook, tanto per citare un caso eclatante, si pianifica il bombardamento delle coste italiane dalla Libia: peccato che i missili Grad in dotazione abbiano una gittata di soli 20 kilometri.