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Pensioni: italiani bocciati

Secondo un’indagine di State Street Global Advisors, la conoscenza del sistema pensionistico resta ancora scarsa nel nostro Paese

Quello delle pensioni è stato uno dei temi più dibattuti della campagna elettorale che si è appena conclusa. Abolire la legge Fornero? Effettuare solo qualche modifica? O lasciarla semplicemente così com’è? Domande che si sommano a lungo dibattito che anima la sfera pubblica da oltre 25 anni, motivato dalla necessità di rendere più sostenibile nel lungo periodo un sistema che, a conti fatti, si è rivelato troppo generoso. Ne è scaturito un lungo elenco di riforme: dall’intervento di Amato nel 1992 fino alla già citata legge Fornero, poi domani chissà.
Insomma, di pensioni in Italia si parla da tempo. E viene naturale pensare che alla fine, picchia e mena, i cittadini abbiano assimilato le nozioni basilari per comprendere e valutare un sistema pensionistico. Invece la situazione è un tantinello diversa. Lo ha certificato recentemente l’indagine La ri-evoluzione delle pensioni. Rapporto sullo stato dell’arte delle pensioni italiane, survey condotta da State Street Global Advisors in collaborazione con Prometeia. Stando ai numeri della pubblicazione, il 68,4% degli italiani si ritiene poco o per nulla informato in materia previdenziale. Ancora peggio fanno gli under 35, ossia quelli che maggiormente sentiranno sul proprio reddito gli effetti delle recenti riforme pensionistiche: in questo caso, il tasso di ignoranza sale al 75%.
Eppure la necessità di una maggior conoscenza della materia ci sarebbe: l’81% del campione ritiene che la sua pensione futura non sarà soddisfacente. Poco, tuttavia, viene fatto per correre ai ripari e cercare di garantirsi una rendita adeguata al proprio stile di vita. Ancora scarso è, per esempio, il ricorso a strumenti di previdenza complementare: le somme investite in fondi pensioni e pensioni integrative si fermano al 9,6% del Pil, molto al di sotto della media Ocse. Alla base della scelta c’è soprattutto il timore di dover sostenere costi eccessivamente elevati, come testimoniato dal 36% del campione. Una ragione tuttavia infondata, visto che i costi connessi ai fondi pensione complementari ammontano a circa un quarto di quelli previsti per fondi comuni e altri prodotti previdenziale: 35 punti base contro rispettivamente 132 e 142.
Poche idee e confuse. All’oscuro dei cittadini restano poi altri benefici, come il regime di tassazione agevolato o la possibilità di decidere l’entità dei contributi e la tempistica dei pagamenti. Certo, le controindicazioni non mancano: la volatilità dei mercati si riflette sui rendimenti, il peso della futura pensione dipende principalmente dal montante contributivo e solo in pochissimi casi, previsti peraltro dalla legge, è possibile accedere ai propri risparmi prima della pensione pubblica. Vantaggi e svantaggi, come succede in tutte le cose. Ma che devono essere conosciuti per riuscire a prendere decisioni consapevoli e oculate, soprattutto quando si parla di reddito e stili di vita.
Una soluzione, a detta dei curatori dell’indagine, passa da iniziative statali per migliorare il livello di conoscenza dei cittadini. Secondo Antonio Iaquinta, head of institutional business in Italia di State Street Global Advisors, è necessario “un maggiore impegno, promosso dal Governo, per informare ed educare la popolazione in merito ai vantaggi dell’investimento nei fondi pensione integrativi”. Quasi a voler dire che finora si è parlato soltanto di pensioni pubbliche, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Iniziare a parlare dell’altra metà del cielo forse può essere un primo passo verso la soluzione.