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Conciliazione al femminile

Imprese sempre più attente alle esigenze delle donne lavoratrici, ma serve maggior impegno

Secondo la Womenomics, per ogni donna assunta nascono due posti di lavoro. E secondo Maurizio Ferrera, professore di Scienza Politica presso l’ Università degli Studi di Milano, in Italia l’ingresso di un milione di donne nel mercato del lavoro comporterebbe una crescita del Pil del 3%. Poste queste basi, non stupisce che l’attenzione per il lavoro femminile sia cresciuta negli ultimi anni. Eppure, nonostante tutti gli sforzi, la strada da fare resta ancora lunga. Anche in riferimento alle esigenze di conciliazione vita-lavoro che devono affrontare le donne.

Sul tema si è espressa anche Daniela Rader, presidente del movimento Donne Impresa, nel corso di un’iniziativa promossa da Confartigianato a Milano agli inizi di novembre. All’interno di una due giorni dedicata al welfare, la presidente ha sottolineato lo sforzo del movimento per garantire la necessaria conciliazione fra vita e lavoro per imprenditrici e dipendenti. “La rappresentanza – ha affermato – si è sempre distinta per la lungimiranza con cui ha proposto tematiche che risultano ancora attuali”. Rader ha quindi portato l’esempio delle diverse forme asili familiari che sono sorte in varie zone d’Italia, dal Trentino-Alto Adige alla Toscana. Strutture, ha ricordato, che hanno offerto un servizio concreto alle donne che devono dividersi fra lavoro e cura dei figli. L’auspicio di Rader è che il modello possa replicarsi e assumere una forma strutturata, “ponendo la conciliazione come un elemento fondamentale per la piccola e media impresa”.


I punti critici, tuttavia, non mancano. E sottolineare le difficoltà emerse, ha osservato, “può costituire un buon punto di partenza per sviluppare ulteriormente la novità”. Fra le criticità principali, Rader ha sottolineato le differenze di inquadramento, la pressione burocratica e la sostenibilità economica in assenza di adeguate sovvenzioni. Punti su cui il movimento sta lavorando per tentare di colmare le lacune, contribuendo ad “accrescere il valore sociale di un lavoro che non è ancora ben riconosciuto”.