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Modalità di verifica del green pass e protocollo sanitario aziendale

Il contrasto al contagio da Sars-Cov-2 nelle imprese passa dall’applicazione delle regole e raccomandazioni che si sono susseguite negli ultimi venti mesi. In tal senso, il certificato verde non sostituisce le disposizioni precedenti ma va ad integrarsi con esse in una logica di maggiore sicurezza

La disciplina vigente in tema di certificazione verde è stata introdotta al precipuo fine di prevenire la diffusione dell’infezione da Sars-Cov-2 e tutelare la salute dei lavoratori (art. 9-septies, c. 1 e 6 del D.L. 22 aprile 2021, n. 52). Dunque, le modalità di verifica adottate, a far tempo dal 15 ottobre, e che mirano essenzialmente a contrastare il rischio di contagio in occasione di lavoro, non possono che innestarsi e armonizzarsi con le disposizioni già contenute nel protocollo sanitario aziendale, a sua volta improntato sul protocollo, condiviso 6 aprile 2021, di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Sars-Cov-2/Covid-19 negli ambienti di lavoro.
In tal senso, e nonostante il Consiglio di Stato abbia negato possa avere carattere vincolante (sentenza 20 luglio 2021, n. 1275), muove anche la risposta (“FAQ”) offerta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ad uno specifico quesito: “il green pass non fa venir meno le regole di sicurezza previste da linee guida e protocolli vigenti”.

È lo stesso protocollo a prevedere che “le imprese adottano (…) e applicano le ulteriori misure di precauzione (…) - da integrare con altre equivalenti o più incisive secondo le peculiarità della propria organizzazione, previa consultazione delle rappresentanze sindacali aziendali - per tutelare la salute delle persone presenti all’interno dell’azienda e garantire la salubrità dell’ambiente di lavoro”.
In tale quadro normativo, l’esibizione, su richiesta, della certificazione verde può essere considerata misura ulteriore e più incisiva di prevenzione rispetto al rilevamento della temperatura, al distanziamento, a eventuali contingentamenti, all’osservanza di precauzioni igieniche e al corretto impiego di dispositivi di protezione individuale, che in ogni caso continuano a essere misure di prevenzione imprescindibili.
Dunque, le modalità operative che il datore di lavoro, che ha la disponibilità giuridica del luogo di lavoro, è tenuto a definire ai sensi dell’art. 9-septies, c. 5 del D.L. 22 aprile 2021, n. 52 per la verifica della certificazione verde, non possono ritenersi avulse dalle prescrizioni e procedure già previste dal protocollo sanitario aziendale, bensì devono essere con queste armonizzate in modo da costituire un sistema regolamentare organico e coerente.

È costruttivo condividere le modalità per la sicurezza

Al proposito, destano perplessità le indicazioni rese da Confindustria con nota 27 settembre 2021, secondo cui, invece, il citato art. 9-septies del D.L. 22 aprile 2021, n. 52 “non fa alcun riferimento a obblighi di informazione, comunicazione e, men che meno, di condivisione sindacale e prescinde totalmente dal protocollo di sicurezza anti-Covid19 e dal comitato previsto dall’art. 13 del protocollo 14 marzo 2020” (rectius: Protocollo 6 aprile 2021).
Alla luce di quanto sopra, non pare che tale orientamento possa essere condiviso. Peraltro:
a)     il D.L. 21 settembre 2021, n. 127, che appunto introduce l’art. 9-septies del D.L. 22 aprile 2021, n. 52, non scalfisce in alcun modo l’efficacia giuridica del protocollo condiviso 6 aprile 2021;
b)     non è ragionevole ritenere che le individuate modalità operative di verifica della certificazione verde debbano prescindere dal protocollo sanitario aziendale, specie quando il datore di lavoro, alla luce di un’attenta valutazione condotta in collaborazione con il medico competente, opti per lo svolgimento di una verifica a campione (si consideri, a mero titolo esemplificativo, che il protocollo 6 aprile 2021 non contempla la possibilità di una verifica a campione della temperatura corporea);
c)     sebbene l’attività di verifica della certificazione verde costituisca un obbligo di legge con riferimento al quale non è prescritto alcun obbligo di consultazione delle rappresentanze sindacali aziendali, non può escludersi a priori che il datore di lavoro, valorizzando schemi partecipativi in tema di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, comunichi a dette rappresentanze le individuate modalità operative al fine di raccogliere eventuali osservazioni in merito e che, in assoluta autonomia, potrà accogliere ovvero non tenere in considerazione.

Un ruolo da osservatore per il comitato per l’applicazione del protocollo
L’introduzione dell’obbligo di verifica della certificazione verde ai fini dell’accesso ai luoghi di lavoro impone di svolgere considerazioni in ordine al ruolo del già richiamato comitato per l’applicazione e la verifica delle regole dettate dal protocollo sanitario aziendale, di cui all’art. 13 del Protocollo 6 aprile 2021, al di là della perentoria interpretazione espressa con la più sopra citata nota 27 settembre 2021.
Attribuendo un’effettiva funzione alle politiche partecipative, a detto comitato potrebbe essere affidata l’attività (non esclusiva) di verifica circa la stretta osservanza delle modalità operative stabilite per la verifica della certificazione verde, istituendo specifiche procedure per la segnalazione di anomalie che dovessero essere rilevate e per la presentazione di osservazioni circa l’effettiva rispondenza delle modalità di verifica della certificazione verde adottate. La rielaborazione di queste potrebbe rendersi necessaria alla luce di eventi sopravvenuti, sia quando questi siano direttamente correlati all’impresa e alla sua organizzazione, sia nell’ipotesi in cui essi siano esogeni al modello organizzativo (il riferimento è qui volto, ad esempio, all’eventualità che l’andamento dei contagi registrato nell’ambito territoriale in cui il luogo di lavoro è stabilito imponga di sostituire la verifica a campione del possesso della certificazione verde con una più stringente verifica individuale).