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Pandemia: le clausole di salvaguardia nei contratti di locazione

Il conduttore di un immobile, che svolga un’attività economicamente soggetta alle conseguenze di uno dei Dpcm emanati dal governo, può pretendere oggi di inserire una specifica clausola di salvaguardia nel suo contratto di locazione. In base ad essa, sarà possibile procedere a una rinegoziazione dell’accordo, a una sospensione o a una riduzione del canone previsto

La pandemia sta comportando conseguenze di ogni genere in tutti i settori della società, ovunque nel mondo. Il settore immobiliare, per la sua interdipendenza con ogni attività privata, commerciale o produttiva, si trova al centro di una serie di problematiche determinanti sul piano economico.
Il conduttore di un immobile, la cui attività lavorativa potrebbe essere a rischio di chiusura, può ad esempio richiedere al proprietario l’inserimento di una condizione di protezione ad hoc.
Si tratta di una clausola di salvaguardia che lo protegge nel caso egli subisca le conseguenze delle misure di contenimento dovute all’epidemia e, grazie a questo provvedimento, ormai comunemente definito clausola Covid, egli potrà pretendere che si proceda ad una rinegoziazione del suo contratto.
L’operatività delle clausole di salvaguardia attraversa molti ambiti e si enuclea in applicazione ai contratti che vengono stipulati negli ambiti più diversi, da quello bancario a quello internazionale che regola i rapporti tra gli Stati membri dell’Unione Europea, ad esempio. 


La salvaguardia delle Commissione Europea
Nella scorsa primavera la Commissione Europea ha proposto l’attivazione di una clausola di salvaguardia generale del patto di stabilità e crescita, stipulato nell'ambito della strategia adottata per rispondere in maniera rapida alla pandemia e alla grave crisi economica che ne è derivata.
Una volta approvata dal Consiglio, la decisione ha consentito agli Stati membri di adottare misure per reagire alla crisi in modo adeguato, discostandosi dagli obblighi di bilancio che normalmente si sarebbero applicati nel quadro europeo.
La Commissione e il Consiglio dell’Unione sono partiti dalla constatazione che la pandemia in atto fosse un "evento inconsueto al di fuori del controllo del governo". È stata dunque ritenuta necessaria una maggiore flessibilità per proteggere le imprese e i cittadini europei dalle conseguenze della crisi e sostenere l'economia.
In pratica, le clausole di salvaguardia sono norme che dispongono di non procedere a determinate misure, qualora le risorse affidate all'operare delle previsioni di un contratto possano essere reperite con altri interventi o non riescano ad essere applicate per questioni di forza maggiore.
Sono cioè norme che prevedono la variazione automatica di specifiche voci, come quelle relative a tasse e imposte, con efficacia differita nel tempo rispetto al momento dell'entrata in vigore della legge che le contiene. Sono dette di salvaguardia, perché finalizzate a salvaguardare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica definiti dal governo.
Poiché di norma esse prevedono che si potrà non procedere agli incrementi di gettito che le stesse comportano, sono in sostanza delle misure di maggiore entrata a efficacia differita, operative nell'anno per il quale sono previste ma per le quali vi è un impegno programmatico – a causa degli effetti economici recessivi supposti - ad individuare misure alternative. Alcuni le definiscono anche clausole di hardship, ovvero previsioni di difficoltà che si invocano nel momento in cui la chiusura dell’attività svolta ha reso eccessivamente onerosa la prestazione richiesta, in questo caso, il pagamento degli affitti.

Il vincolo della clausola di buona fede
In seguito all’emergenza finanziaria determinata dalla pandemia, dunque, il governo agisce per aiutare i conduttori degli immobili presi in affitto. Queste iniziative hanno già determinato l’intervento della magistratura che, con l'ordinanza n. 29683 del Tribunale di Roma, ha stabilito una riduzione del canone di locazione commerciale del 40% per i mesi di aprile e maggio del 2020 e del 20% da giugno 2020 a marzo 2021, per una società operante nel settore della ristorazione.
In questo caso, il conduttore lamentava che la società proprietaria non avesse ottemperato "all'obbligo, derivante dalla clausola generale di buona fede e correttezza, di ricontrattare le condizioni economiche del contratto di locazione a seguito delle sopravvenienze legate all'insorgere della pandemia".
Il Tribunale ha deciso che tale clausola generale di buona fede e correttezza - obbligando le parti a giungere a un nuovo accordo per riportare in equilibrio il contratto entro i limiti dell'alea normale - avesse l’obiettivo di "rendere flessibile l'ordinamento, consentendo la tutela di fattispecie non contemplate dal legislatore". Pertanto, l'intervento dello Stato per fare fronte alla crisi economica causata dal Covid-19, poteva essere considerato insufficiente e si doveva ricorrere alla clausola generale di buona fede e di solidarietà sancita all'art. 2 della Carta costituzionale, quale clausola di salvaguardia, per riportare il contratto entro i limiti dell'alea normale. La controproposta del proprietario dell’immobile di ridurre del 30% i canoni per i soli mesi di marzo, aprile e maggio 2020, non è stata dunque accolta, perché considerata inadeguata.

Non è sempre causa di forza maggiore
Poiché ci troviamo di fronte a una situazione del tutto nuova e senza precedenti, la maggior parte dei contratti stipulati prima dell’avvento della pandemia non godono della tutela delle clausole di salvaguardia. In passato, infatti, era raro che le stesse venissero inserite, perché nessuno presupponeva che potesse sopravvenire un impedimento di questo tipo allo svolgimento dell’attività del conduttore.
Come abbiamo visto, alcune sentenze hanno permesso di ricorrere agli interessi di forza maggiore, ma questo tipo di richieste sono state spesso rigettate, giustificando la decisione con il fatto che gli interventi statali hanno permesso di riequilibrare la situazione economica, senza che vi fosse la necessità di intervenire sul contenuto dei contratti.
Per le transazioni stipulate prima della pandemia, pertanto, non esiste una tutela come quella prestata dalle clausole di salvaguardia, ma le parti possono trovare un accordo di mediazione, trovando un punto di incontro fra interessi del proprietario e dell'affittuario.
Per i nuovi contratti, invece, è possibile introdurre la clausola specifica.
I contratti commerciali, cioè quelli non relativi ad uso abitativo, hanno una durata generalmente superiore rispetto a questi ultimi. Generalmente si tratta di accordi che durano almeno sei anni, rinnovabili per altrettanti sei anni. Gli interessi economici sono inoltre ben più elevati.
Per questi contratti di locazione sarebbe dunque assai consigliabile prevedere una clausola ad hoc, modulata in base al tipo di attività e alle possibili ripercussioni che possono scaturire da un’eventuale chiusura.
L’esempio classico è quello dell’attività di ristorazione. In questo caso è assai consigliabile inserire nel contratto di locazione una clausola di forza maggiore, che preveda la possibilità di rinegoziarne i termini nel momento in cui si verifichi una chiusura totale. I Dpcm creano delle situazioni differenti, l’ideale sarebbe quindi modulare nel contratto le diverse soluzioni, in base alle circostanze ed ai rischi tipici ipotizzabili per questa attività.
In fondo, è una questione di gestione del rischio, ma il nostro paese non è certamente all’avanguardia per quanto concerne l’applicazione dei principi di risk management ad ampio spettro, soprattutto nell’ambito delle aziende piccole o addirittura nel privato.

Un beneficio per entrambe le parti
D’altra parte, in questo momento di grave crisi economica l’inserimento di questo tipo di clausole è conveniente per tutte le parti coinvolte. In ambito commerciale, ad esempio, si fa una grande fatica a locare gli immobili ed è interesse dei proprietari incoraggiare i locatori a superare le loro remore al riguardo.
Pertanto, anche nell’ambito dei contratti in corso, se il conduttore facesse presente di aver subito una riduzione del fatturato tale da non poter portare avanti la propria attività (il che prelude a una sua inadempienza), si dovrebbe in qualsiasi momento potersi sedere a tavolino e provare a rinegoziare il contratto o chiuderlo e aprirne un altro. In ambito civile, la volontà delle parti prevarrà comunque su tutto e con quello che sta accadendo è necessario ripristinare la fiducia reciproca tra le parti.
In Spagna, ad esempio, sembra che società immobiliari e proprietari abbiano preso l’abitudine di inserire la clausola covid in tutti i contratti di locazione.
In caso sopravvengano ulteriori stati di allarme, l’obbiettivo è che l'inquilino possa lasciare l'immobile e recedere dal contratto di locazione senza penalità, smettendo di pagare l'affitto mensile. Sul piano legale, tutto questo si basa su una condizione risolutiva esplicita che parte dal lockdown come fatto determinante della cessazione del contratto. La clausola è parte di un allegato al contratto di locazione, che specifica le condizioni previste in caso di recidiva o futuro nuovo lockdown dovuto alla pandemia. La stessa prevede l'importo che l'inquilino pagherà al proprietario, a seconda che si verifichi una nuova serrata o l’abbandono dell’immobile prima della scadenza del contratto stesso. Ogni locatore decide l'importo da ricevere e lo negozia con l'inquilino prima di firmare. In media, di solito ci si accorda per una somma intorno al 60% del canone abituale.
La clausola è particolarmente indicata per i contratti d’affitto di locali, uffici o delle case in affitto agli studenti, che sono le categorie più colpite dal lockdown, e nelle locazioni commerciali.
Che la si chiami clausola Covid, di salvaguardia o di forza maggiore poco importa, quel che conta è inserirla all’interno del contratto di locazione, prima che esso venga redatto.