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Pmi: come affrontare la ripartenza

Il 90% delle piccole e medie imprese italiane ha avuto problemi di liquidità durante o immediatamente dopo la fase emergenziale della pandemia. Le direttrici per recuperare il fatturato perduto guardano all’export, all’innovazione e a forme di collaborazione che aumentino la propria capacità sul mercato

La crisi economica conseguente alla pandemia di Covid-19 è la prima dal secondo Dopoguerra a non avere un’origine di natura finanziaria. L’aspetto non è irrilevante, di fronte a un panorama produttivo in forti difficoltà, dove circa il 60% delle piccole e medie imprese ha subìto nei mesi scorsi un rallentamento della propria attività e circa il 30% ha dovuto sospenderla completamente. Pur con le inevitabili ricadute avute sulla liquidità, le Pmi stanno guardando a come affrontare la difficile fase della ripresa, mettendo in atto iniziative che le rafforzino e permettano un recupero dei risultati pre-Covid in tempi relativamente contenuti, soprattutto in considerazione di un Pil 2020 valutato oggi a -9,5% e un tempo di recupero stimato “ottimisticamente” non prima della metà del 2022. Un’analisi di prospettive e attese è fornita dal report pubblicato da Deloitte in collaborazione con Intesa Sanpaolo ,“I bisogni delle Pmi per la ripresa post-Covid”, frutto di un’indagine che ha coinvolto un campione di circa 6100 Pmi, selezionato in modo trasversale per settore, dimensione e area geografica.
Nell’immediatezza della crisi, le imprese hanno puntato in primo luogo alla ricerca di finanziamenti per far fronte alla carenza di liquidità, anche se una nicchia – su tutti i settori food&beverage e ho.re.ca. - ha da subito destinato i nuovi flussi a iniziative a sostegno della ripresa, in particolare verso campagne di marketing e attività di internazionalizzazione. Una seconda soluzione, adottata da circa il 25% delle Pmi italiane tra marzo e maggio, è stata la riconversione della produzione verso prodotti ritenuti essenziali nella fase più difficile della pandemia - percentuale che sale al 50% in alcune province del Mezzogiorno -, una soluzione che ha coinvolto in particolare i settori tessile e abbigliamento e il food&beverage.
In questo panorama di fondo, la ricerca indaga le tre principali direttrici d’azione che le Pmi intendono percorrere per rafforzarsi nella ripresa post Covid-19. La prima è la capacità di innovare, quindi proporre novità sul mercato per risultare più competitivi, la seconda include internazionalizzazione e diversificazione come modalità che permettono di essere più resilienti alle dinamiche economiche, la terza riguarda la ricerca della solidità patrimoniale attraverso un rapporto debito - equity che non esponga l’impresa in tempi di flussi di cassa incerti.
È forte la volontà di innovare
Le imprese che intendono ripartire con uno sguardo all’innovazione sono coscienti di dover intervenire sul proprio modello di business, e di conseguenza sul modello operativo. Il 56% ritiene utile concentrarsi su poche componenti dell’attuale proposizione di business, andando a intervenire sul bacino di clienti, sull’offerta e sui canali di vendita oltre che sulla supply chain. La via è quindi quella di innovare rivolgendosi ad ambiti adiacenti all’attività core, in 6 casi su 10 ricercando nuovi bacini di clientela e in altrettanta proporzione agendo sulla gamma di prodotti o servizi offerti; 5,3 aziende su 10 pensano di adottare canali distributivi digitali a seguito dell’esperienza emersa nel lockdown. Al di là delle intenzioni c’è però la capacità concreta di agire, e in questo senso nell’immediatezza della riapertura solo il 35% delle Pmi intervistate affermava di aveva avviato piani di rilancio strutturati.
Mercati esteri, un porto sicuro
Per 1 azienda su 2 una delle soluzioni per tornare ai livelli di operatività precedenti alla pandemia è l’espansione verso i mercati esteri, una propensione che aumenta in proporzione alla dimensione delle aziende e in alcuni settori, in particolare il commercio al dettaglio e ingrosso e le costruzioni. L’export è stato un driver per la ripresa anche in precedenti crisi, tanto che tra il 2014 e 2018 l’attività estera delle Pmi italiane è cresciuta del 2,5% medio annuo, arrivando a un valore di 200 miliardi di euro. Questo passo rende implicite però le competenze per gestire bene il mercato d’oltreconfine, quindi la capacità di studiare un piano di ingresso progressivo e la necessità di individuare i partner locali, ma anche l’esigenza di strutturare internamente l’azienda e dotarla degli strumenti e skill necessari al confronto con le realtà estere.
Alleanze per una solidità patrimoniale
Qualsiasi tipo di operazione per reagire alle difficoltà richiede una forte componente patrimoniale che vada oltre la liquidità necessaria per l’operatività e la cassa. Nell’indagine di Deloitte, oltre il 90% delle Pmi ritiene la solidità patrimoniale un fattore chiave per la stabilità del business, obiettivo che viene raggiunto attraverso la riduzione dell’esposizione verso terzi, il consolidamento dell’indebitamento o anche interventi più strutturali come alleanze strategiche, joint venture o M&A. Che le aziende siano consapevoli di questo passo è confermato dalla loro evoluzione degli ultimi anni, con una liquidità che nel 2018 si attestava al 7,3% dell’attivo contro il 4,7% del 2009, migliorano anche gli indici patrimoniali con il debito su capitale proprio passato dal 63,2% del 2009 al 52,9% del 2018.
Secondo una ricerca di Deloitte del 2018, i piccoli e medi imprenditori italiani sembrano invece meno propensi ad operazioni straordinarie, con solo il 18% che aveva portato a termine operazioni di M&A nell’ultimo anno contro il 30% medio a livello globale. L’atteggiamento è confermato dal documento di Deloitte qui analizzato, con la maggioranza delle Pmi che considera le operazioni straordinarie come la direttrice di vantaggio competitivo meno interessante, fatta eccezione per i settori del manifatturiero e della logistica nei quali tali operazioni sono rispettivamente il primo e il secondo elemento per acquisire vantaggio competitivo.
Un ruolo centrale per le banche
La crisi in corso ha la caratteristica particolare di essere la prima dal secondo Dopoguerra a non essere stata generata da uno shock finanziario. Questa circostanza fa sì che le banche possano avere un ruolo centrale a sostegno delle imprese nella fase di ripartenza. Secondo quanto emerge dall’indagine di Deloitte, un’azienda su due si dice interessata a utilizzare la banca anche quale partner per le strategie di espansione sui nuovi mercati, per l’intermediazione con provider specialisti nell’ampliamento dei canali commerciali, e per la promozione dei propri prodotti o servizi aziendali. Le Pmi si dicono interessate anche a un supporto consulenziale da parte della propria banca su temi non finanziari: 6 aziende su 10 riceverebbero consigli su temi fiscali, 5 su 10 riguardo a modelli operativi emergenti anche relativi alle nuove tecnologie, mentre 4 aziende su 10 ritengono le banche una possibile fonte per analisi di mercato e benchmark.