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La città: una nave in rotta fra civiltà ed epidemie

I centri storici sono testimoni dell’evoluzione della società, ma nello stesso tempo “modellano” i propri abitanti secondo il carattere che distingue ogni singola metropoli

La città cambia perché i suoi abitanti si susseguono di generazione in generazione, anche se essa stessa li cambia secondo la propria anima, quella che distingue Milano da Roma, Napoli da Trieste, Palermo da Torino ecc. Ecco, dunque, che una città tende a mantenere in qualche modo una sua identità pur attraverso il cambiamento di tutti i suoi abitanti, di origine sia migrazionale sia generazionale. Tale costanza, in effetti, è visibile ovunque, ma tanto più in quei luoghi in cui la storia vi ha sedimentato una specifica eredità, una anima storica. È dunque meno vero nelle recenti periferie, che si somigliano tutte, come anche i recenti centri direzionali, avveniristici nell’anonimato del finanzcapitalismo, ma è vero per gli antichi centri storici. Parliamo, perciò, dei centri storici delle quattordici grandi città metropolitane (di oltre mezzo milione di abitanti l’una) e delle città oltre i cinquantamila abitanti, in cui vivono complessivamente i due terzi degli italiani.

Ebbene, anche attraverso cambiamenti generazionali e migrazionali, la città persiste, ed ecco allora che si pone lo stesso, antico, problema della “nave di Teseo”, che ai nostri scopi così possiamo riformulare.

Sempre diversa, sempre la stessa
Supponiamo che una nave, sotto il comando del grande capitano Teseo, mitico eroe ateniese, parta per una missione rischiosa durante la quale ogni sua parte materiale, trave, vela, chiodo ecc., debba essere sostituita con altri esattamente identici. Al ritorno, la folla, adunatasi sul molo per acclamare l’eroe che torna vincitore, lo vedrà a bordo di una nave di cui c’è da chiedersi se si tratti della medesima nave con la quale un giorno Teseo era partito, oppure di una nuova, seconda e distinta. La domanda suscita già un certo imbarazzo, ma se poi scoprissimo che qualcuno abbia seguito la nave e ne abbia raccolto tutti gli scarti e, restauratili alla perfezione, abbia ricomposto la nave intera, a questo punto avremmo una terza in predicato di essere la “nave di Teseo”: quale esporremmo in un museo come l’originale? Potremmo probabilmente rispondere convenzionalmente che la “nave di Teseo” è quella al comando della quale Teseo fa rientro in porto al compimento della missione. Il cambiamento che avrebbe attraversato sarebbe, diciamo, un cambiamento del primo ordine. Ma ora, tornando al caso di una città, potremmo dire che essa ci mostra pure un cambiamento del secondo ordine, perché, pur mantenendo una sua riconoscibilità, ogni città è destinata a cambiare effettivamente nel tempo. Mentre una nave è e rimane tale in mare aperto, in porto e perfino tirata a secco, sia con persone a bordo, sia vuota, come s’è detto, una città esiste e persiste solo se ci sono persone “a bordo”, se c’è una zona periurbana (tipicamente agricola) dalla quale affluiscono le risorse che non vi sono prodotte e una vasta zona (tipicamente commerciale) verso la quale principalmente defluiscono le sue produzioni eccedenti. Istante per istante, dunque, la città vive in quanto si trova in una sorta di equilibrio omeostatico con il suo ambiente circostante, come un qualunque organismo vivente a un certo momento. Il parallelo con una nave, dunque, finisce qui: ogni città segue la propria identità come fosse una traiettoria nel tempo. La Milano di oggi, infatti, non è identica a quella di ieri, e così è per Roma, Pechino o Dubai. Anzi, sembra proprio essere una caratteristica delle città quella di essere soggette alla storia, proprio perché soggetti della storia. Ecco, allora, che le città vanno distinte dalle navi, e ci serviranno adesso altre analogie.