ue-e-covid-19-risorse-e-limiti-in-una-lotta-impari

Ue e Covid-19, risorse e limiti in una lotta impari

Gli interessi nazionali dei singoli stati hanno fatto sì che, finora, l’Europa ha risposto in ordine sparso alle molteplici sfide portate dalla pandemia. Ecco cosa frena la possibilità di mettere in campo misure comuni

Nonostante il recente moltiplicarsi delle azioni pubbliche e istituzionali a livello dell’Unione Europea, e nonostante un substrato legislativo esistente, benché limitato, l’Europa, il cui scopo principe è l’integrazione tra gli Stati membri, non è riuscita a far fronte alle molteplici sfide rappresentate dal Covid-19.
Le esigenze e le peculiarità di ogni singolo Stato hanno fin da subito prevalso sulle reali necessità transnazionali e transfrontaliere, in una realtà continentale che appare, in questo frangente, più come un’entità di collaborazione e di cooperazione che una vera istituzione d’integrazione, in grado di guidare adeguatamente un’emergenza che non conosce confini. Appare dunque evidente che, in questo caso particolare, i limiti legati agli interessi nazionali rappresentino più un ostacolo che un punto di forza.
L’Unione Europea è il frutto delle decisioni di chi l’ha fondata e di chi l’ha fatta evolvere nel tempo, cioè degli Stati che la compongono e di coloro che tali Stati governano.
Al fine di comprendere meglio la situazione attuale, e forse per evitare di lasciar libero sfogo a facili critiche verso una realtà, l’Europa, che avrebbe forse dovuto, nell’immaginario collettivo di molti, prendere le redini di una battaglia sanitaria d’interesse extra-nazionale, appare opportuno richiamare alcuni punti fondamentali.
L’Unione Europea nasce da esigenze legate a questioni di mercato interno al continente.
Il trattato di Roma del 1957, che sancisce la creazione della Comunità Economica Europea, definisce i fondamenti della comunità stessa, quali la libera circolazione delle merci, l’agricoltura, la libera circolazione delle persone e dei capitali, i trasporti.
Il conseguimento di un elevato livello di protezione della salute è integrato nella versione consolidata del trattato ma appare sempre come un’indicazione generica, anche se d’indubitabile importanza.

Chi tutela il diritto alla salute
Si comprende agevolmente che un diritto della salute non fosse la priorità all’interno della giovane Europa istituzionale. La sanità della popolazione era toccata in seconda battuta da iniziative legislative che investivano altri campi, quali il commercio dei farmaci, la sicurezza nei casi di esposizione a sostanze radioattive, la salute degli animali, e la loro relativa ripercussione sulla salute degli esseri umani.
La gestione della sicurezza interna, dell’ordine pubblico e della salute, sono sempre rimaste realtà appannaggio dei singoli Stati Membri.
Tuttavia, se si ricercano i campi per i quali, nei trattati successivi a quello di Roma e nelle decisioni giurisprudenziali, si è poi deciso di attuare una politica maggiormente integrata, è doveroso ricordare specifici ambiti quali l’invecchiamento della popolazione, le spese mediche, in particolare per le cure transfrontaliere, o principi fondamentali quali il consenso informato prima di ogni atto medico-chirurgico e, argomento di assoluta attualità, le malattie, siano esse trasmissibili o meno. I punti d’interesse citati rappresentano altrettante cause di applicazione del diritto dell’Unione in ambito sanitario.

Quali sono le competenze in capo all’Unione
L’elemento chiave di questo processo è rappresentato quindi dalle competenze che si è deciso di trasferire all’Unione, ma non solo. In effetti, tali peculiarità sono rette da tre principi di applicazione, quello di attribuzione, quello di sussidiarietà e quello di proporzionalità. In base a tali regole, l’Unione interviene solo e unicamente laddove il relativo spiraglio legislativo lo consente. Inoltre, le possibili competenze garantite all’Unione in determinati ambiti, non sono generalmente assolute ma, a seconda del campo considerato, risultano essere esclusive, concorrenti o di sostegno. La sanità non rientra tra le competenze esclusive, essendo subordinata, di volta in volta, al potere decisionale sovrano di ogni singolo Stato Membro.
In seguito al trattato di Maastricht del 1992, il principio di lotta contro le malattie e contro le grandi epidemie è ribadito, sottolineato e sancito. L’articolo 10 del documento, già quasi trent’anni fa, in una maniera che si potrebbe definire premonitrice, indica come l’azione della Comunità si indirizza in primo luogo alla prevenzione della malattie, segnatamente dei grandi flagelli.
Il perfezionamento di questa tendenza a una sempre più profonda azione dell’Unione in ambito sanitario si ritrova nel trattato di Lisbona del 2007 e, in particolare, nell’articolo 168 del Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea).
In termini pratici, non si può certamente assurgere che l’Unione non abbia promulgato, negli ambiti consenti, testi vincolanti in ambito sanitario, a difesa dei propri cittadini. Basti pensare alla direttiva 2001/83/EC, modificata dalla direttiva 2004/27/EC, relativa all’istituzione di un codice comunitario per i farmaci a uso umano, alla direttiva 2004/23/EC, e successive nello stesso ambito, inerente alla gestione delle cellule e dei tessuti sempre per uso umano, alla direttiva 2010/53/EC, riguardante il trapianto d’organi, alla direttiva 2011/24/UE, relativa ai diritti dei pazienti riguardo alle cure transfrontaliere.
Tali documenti, come si sa, sono atti importanti, vincolanti e impugnabili in uno Stato membro, da un attore che ritenga lesi, nel corso di un atto processuale, diritti sanciti dalle direttive comunitarie stesse.
Tuttavia, nonostante le buone intenzioni del legislatore, a livello Comunitario, e malgrado gli sforzi prodigati a livello istituzionale, la salute pubblica resta una res precipuamente intra-nazionale.

Gli strumenti esecutivi
L’Unione Europea ha creato negli anni tutta una serie di strumenti esecutivi, con lo scopo di coadiuvare e sostenere l’azione degli Stati membri.
Tra questi non può non essere ricordato il Comitato per la sicurezza sanitaria (Css – Health Security Committee, Hsc), estremamente attivo durante l’attuale crisi nel riassumere periodicamente l’evoluzione dell’emergenza, mettendo in luce le misure intraprese per contrastarla, a livello nazionale e internazionale, e rappresentando un riferimento importante nel processo di coordinazione delle attività a livello di Stati Membri. Il lavoro del Css è coadiuvato dal Centro Europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc, European Centre for Disease Prevention and Control).
Parallelamente, la Chafea (Consumers, Health, Agriculture and Food Executive Agency) permette la messa a disposizione delle risorse finanziarie della Comunità, nell’ambito dei periodici piani sanitari e nel caso di eventi eccezionali.
Poiché la lotta europea contro questa pandemia non può essere fatta senza adeguate misure terapeutiche, siano esse già disponibili o in divenire, il contributo dell’Agenzia Europea per i Medicinali (Ema, European Medicines Agency) è tutt’altro che secondario, rappresentando non solo il passaggio obbligato che l’industria farmaceutica deve attraversare per la messa sul mercato di farmaci destinati al territorio dell’Unione, ma anche per l’impulso fondamentale dato dall’istituzione alle attività di ricerca al fine di sviluppare farmaci efficaci nell’attuale emergenza.
Dal punto di vista logistico, non va certamente dimenticato il ruolo del Centro di coordinamento della risposta alle emergenze (ERCC, Emergency Response Coordination Centre), creato per dar luogo a un fronte comune e collaborativo in presenza di catastrofi naturali, ma rapidamente adattato alla situazione contingente per favorire e coadiuvare l’apporto di materiale medico-chirurgico o il trasferimento dei pazienti verso strutture situate a distanza dall’iniziale luogo di degenza. Questa evoluzione, rapida se si pensa alle lungaggini amministrative e decisionali nell’ambito dell’Unione, è stata sancita della Decisione di esecuzione del 19 marzo 2020.

Combattere un nemico che non conosce frontiere
Nonostante le prerogative dell’Unione Europea, le sue istituzioni, la sua panoplia di misure legislative e le sue molteplici agenzie, l’epidemia di COVID-19 non ha trovato nel vecchio continente un sistema di resistenza unitario. Ogni Stato membro, anche se appellandosi a una generica solidarietà europea, ha giocato le sue carte in una partita solitaria, le cui regole di solitario non hanno proprio nulla. L’Unione è dunque intervenuta tardivamente e con un’efficacia limitata dai poteri concessi da coloro che la compongono. Il risultato è che la diffusione e la gestione del Covid-19 non ha prodotto effetti simili nei Paesi dell’Unione, devastanti in taluni casi, moderati, o quantomeno molto limitati, in altri.
Per controbilanciare con una vera azione preventiva queste disparità, nel rispetto dei più alti principi definiti dai trattati dell’Unione, dopo un’unità monetaria, dove presente, e di un’unità bancaria, ancora di difficile esecuzione, forse sarebbe il momento di pensare a una vera unità sanitaria, almeno per lottare efficacemente contro un nemico che, come si è detto, non conosce frontiere.