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L’economia circolare premia le Pmi

La possibilità di sfruttare al meglio le risorse produttive e i materiali risulta essere un valore competitivo importante per le piccole e medie imprese. Sulla scelta di modificare il modello di business influiscono però la carenza di incentivi e i costi di investimento

L’economia circolare non è un’istanza emersa con il cambiamento climatico, ma una pratica conosciuta da anni e che in realtà è da sempre radicata nella società umana pre-capitalista. Forme di economia circolare nei settori produttivi sono state avviate già negli scorsi decenni, ma il tema ha assunto certamente maggiore rilevanza negli ultimi anni sulla spinta di un cambiamento culturale e di un maggiore orientamento verso la preservazione delle risorse naturali.
Oggi le aziende italiane mostrano interesse e proattività verso forme di economia circolare, ma il passaggio da un’adesione parziale alla trasformazione del modello di business in questo senso è un impegno che richiede visione, competenze ed investimenti. Se ne è parlato a Milano nell’ambito del Focus Pmi 2019, decima edizione dell’Osservatorio nazionale ideato e organizzato dallo studio LS Lexjus Sinacta, nel corso del quale è stata presentata la ricerca “L’economia circolare a sostegno della competitività delle Pmi” realizzata dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. I risultati dell’indagine sono stati presentati dal professor Fabio Iraldo, dell’Istituto di Management della Scuola. Nel complesso, i dati sulla circolarità nelle Pmi sono abbastanza positivi e indicano che il 67% delle imprese italiane ha avviato azioni di economia circolare negli ultimi tre anni - contro una media Ue del 73% (i dati sono del 2016) –, il livello di circolarità nelle Pmi è inoltre quasi lo stesso delle grandi aziende (24% contro 26%), e in genere qualitativamente migliore.

Tra imballaggio e lunga vita
Dalla ricerca emerge che l’impegno in tema di circolarità delle aziende italiane si concentra in particolare in specifici ambiti di attività e della catena del valore. I fattori di circolarità utilizzati dalle imprese sono legati per il 40% al packaging, per il 70% a prodotti che contengono materiale riciclato, per il 25% a strategie per continuare a far vivere il prodotto dopo l’uso e per il 30% a speciali design per ottimizzare gli involucri dei prodotti. Più in particolare, ha evidenziato Il professor Iraldo, ad oggi oltre il 40% delle imprese utilizza imballaggi composti integralmente da materiale riciclato; sempre sul tema del confezionamento, oltre il 30% delle aziende ha già messo in atto modifiche nella fase di design e di progettazione del prodotto volte ad ottimizzare l’utilizzo di imballaggi. Una azienda su 3 offre prodotti che sono riciclabili per più del 70% dei materiali di cui sono composti; il 25% ha modificato il proprio prodotto per aumentare il periodo di utilizzo, (ad esempio adottando componenti modulari facilmente smontabili e sostituibili o componenti e giunture standardizzate e per questo con ricambi più facilmente reperibili).

Prima l’azienda

L’adesione a modelli di economia circolare da parte delle aziende risponde prima di tutto ad esigenze di ottimizzazione ed efficientamento della propria attività, e solo secondariamente a questioni di mercato. Tra le iniziative, l’approvvigionamento con materie prime seconde per ridurre il consumo di materia inutile o sovrabbondante, l’efficientamento dei processi e la collaborazione simbiotica con altre aziende per valorizzare reciprocamente i materiali. Secondo quanto esposto da Fabio Iraldo, “dagli studi emerge come tutte le aziende considerino i fattori interni all’impresa come principali driver della circolarità, in primis la riduzione dei costi, con una chiara percezione della relazione tra economia circolare e miglioramento dell’efficienza. Tra i fattori esterni che influenzano le scelte aziendali emergono il miglioramento della soddisfazione dei clienti e dell’immagine aziendale, aspetti che confermano il valore di un consumatore consapevole nell’orientare la filiera ad intraprendere azioni di circolarità”.

Gli ostacoli al cambiamento
Un tema fondamentale per elevare la quota di circolarità nell’economia del nostro paese è la necessità di ridurre gli ostacoli che le aziende si trovano di fronte nel cambiare i propri processi.
Secondo la fonte dati Conai (Consorzio Nazionale Imballaggi), le aziende trovano difficoltà per la mancanza di adeguati incentivi, per elevati costi di investimento o di trasformazione, per i costi delle materie prime alternative, ma anche perché ritengono che la clientela non consideri la circolarità come un valore primario che influenza l’acquisto. Altri aspetti che bloccano le aziende sono la scarsa consapevolezza dei benefici economici ed ambientali, l’assenza di attori e cooperazione tra gli stessi nella filiera, problemi di reperimento di finanziamenti sul mercato di capitali, difficoltà di sostituzione delle materie prime con altre riciclabili (la normativa è decisamente vincolante in questo), e anche i brevi termini nei quali possono essere intraprese strategie aziendali in materia. “Più del 60% delle aziende ritiene che le principali barriere all’adozione di azioni di economia circolare siano legate alla mancanza di adeguati incentivi e agli elevati costi di investimento. Le aziende temono che cambiare i processi di approvvigionamento, produzione, distribuzione per renderli circolari richieda investimenti sproporzionati”. Su questo influisce anche la mancanza di incentivi, o meglio, le forme di sostegno attuali risultano poco chiare e rischiano di essere contraddittorie.

Più circolari, più performanti
La ricerca ha indagato anche la correlazione tra livello di circolarità e performance competitive, da cui emerge, afferma Iraldo, “come le aziende che hanno introdotto i principi dell’economia circolare in modo radicale nel proprio modello di business siano quelle che raggiungono le migliori prestazioni competitive, con una incidenza largamente positiva sui tre indicatori di crescita del fatturato, crescita dimensionale e aumento del numero di clienti”. Uno studio pubblicato sul Journal of Cleaner Production 230, afferma infatti l’esistenza di una reale correlazione tra il livello di circolarità e le performance competitive: secondo l’analisi statistica, i peggiori performer sono le imprese lineari; seguite dai semplici informatori di circolarità, poi dalle aziende che applicano i principi di circolarità solo ai propri processi produttivi (house keepers), dai circular designers che coinvolgono in maniera attiva i propri clienti, e infine dai “completi”, che seguono il processo eco-compatibile nelle sue 5 fasi, e che hanno ottenuto profitti di revenue in assoluta crescita negli ultimi tre anni.