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Basilicata, rete idrica contaminata da petrolio

Il fatto, avvenuto in Val D’Agri, è venuto alla luce nel 2017. La Procura di Potenzia indaga per disastro ambientale

“Disastro ambientale”. È uno dei reati ipotizzati dalla Procura di Potenza per l’area del centro oli di Viggiano (Potenza), causato dalla corrosione dei serbatoi per lo stoccaggio del greggio, che ha portato allo sversamento di un’ingente quantità di petrolio e alla contaminazione delle acque sotterranee per 26 mila metri quadrati: venuta a galla nel 2017, la perdita sarebbe già stata “a conoscenza del management Eni” da almeno quattro anni, e descritta in un memoriale lasciato da Gianluca Griffa (dal 2011 ingegnere responsabile della produzione nel Cova) nel 2013, prima di suicidarsi in Piemonte.
Nel suo memoriale, rimasto negli scaffali di una Procura piemontese (e riemerso solo perché i pm potentini stavano monitorando gli ex dipendenti della compagnia petrolifera) Griffa “anticipava” l’allarme sulla corrosione ai vertici locali dello stabilimento, e spiegava che gli era “stato imposto di tacere” e che “nell’aria c’era un suo allontanamento”.
La scoperta è venuta alla luce solo nel 2017, a causa del ritrovamento di petrolio in una rete fognaria nei pressi del centro oli collegata alla corrosione di un serbatoio, e quantificata in circa 400 tonnellate.
A questa scoperta è seguita un’attività di riparazione da parte dell’Eni e il proseguimento della produzione. Secondo gli investigatori, tuttavia, la fuoriuscita risalirebbe al 2009, lo sversamento sarebbe di gran lunga maggiore di quello ipotizzato e proveniente da quattro serbatoi. L’inchiesta, condotta dai pm Laura Triassi e Veronica Calcagno in collaborazione con i Carabinieri del Noe, ha al momento 13 indagati, oltre all’Eni stessa, per i reati di disastro, disastro ambientale, abuso d’ufficio, falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale. Per il gip “è esistita una precisa strategia, attuata a livello locale, ma certamente condivisa dai vertici di Milano” dell’Eni, per “nascondere i gravi problemi e le conseguenze che la corrosione aveva provocato, con condotte caratterizzate da una sconcertante malafede e spregiudicatezza”. Il disastro ambientale sarebbe quindi “riconducibile alle condotte omissive degli indagati” (tra i quali anche i componenti del comitato tecnico regionale della Basilicata) che avrebbero omesso alcune attività fondamentali, ha spiegato il Procuratore di Potenza, Francesco Curcio, per non interrompere la produzione, “in quanto i loro bonus erano legati a questo”.
L’Eni, in un nota, “conferma la massima collaborazione con gli organi inquirenti e la fiducia nell'operato della magistratura”.