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Oceania, corsa contro il tempo per una petroliera arenata

L'incidente al largo delle Isole Salomone: la perdita di combustibile minaccia la barriera corallina, patrimonio dell’Unesco. Il piccolo stato oceanico ha chiesto aiuto all’Australia

Circa un mese fa il cargo Mv Solomon Trader si è incagliato al largo di un’isola delle Salomone, nell’oceano Pacifico meridionale. L’incidente ha causato una massiccia perdita di petrolio presso una barriera corallina parte del patrimonio mondiale Unesco. Il primo ministro incaricato delle Isole Salomone, Rick Hou, ha chiesto aiuto all’Australia nelle
operazioni di contenimento e decontaminazione della marea nera che, ha detto, “sta causando danni irreversibili”. Lo scorso 8 marzo, in una conferenza stampa, Hou ha minacciato di far includere la compagnia di navigazione, la South Express di base a Hong Kong, nella lista nera internazionale “se non si assumerà le sue responsabilità”, visto che “l’impatto sulla vita marina e sulla barriera corallina è già massiccio e in gran parte irreversibile”. Si stima che 100 tonnellate di petrolio siano già fuoriuscite, con oltre 550 circa ancora nei serbatoi. La nave, lunga 225 metri, stava caricando bauxite, il minerale usato per produrre alluminio, al largo dell’isola Rennell, quando il ciclone Oma lo ha sospinto contro i banchi corallini il 5 febbraio.

L’ente australiano per la sicurezza in mare, l’Australian maritime safety authority, ha eseguito voli di ricognizione sull’area. Le ricognizioni hanno rivelato pesanti perdite di carburante nell’acqua. I preparativi per trasferire il petrolio ancora nei serbatoi sono ostacolati dai danni alla nave e dall’allagamento della sala motori. La richiesta di risarcimento assicurativo da parte delle Isole Salomone è soggetta a ritardi perché il Paese non è firmatario della convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento da navi, che permette pagamenti diretti dalle compagnie di assicurazione. Lo stato oceanico, quindi, può rivolgersi solo direttamente ai proprietari della nave. L’Unesco, in un comunicato, si è detta preoccupata per l’impatto di questo incidente su un sito del patrimonio mondiale, sottolineando di essere al lavoro “con le autorità nazionali per verificare lo stato della situazione e le migliori misure di mitigazione da adottare”. Il National disaster council delle Isole Salomone ha in ogni caso detto chiaramente alla comunità internazionale che il Paese non ha la capacità di affrontare un disastro ambientale di questa grandezza, sottolineando che “la responsabilità primaria sta ai noleggiatori e ai proprietari della nave”.

Un incidente peggiore del previsto


Ad ogni modo, la fuoriuscita di petrolio si sta rivelando peggiore del previsto. Ad affermarlo, come riporta il South China Morning Post, sono gli stessi proprietari della nave cisterna. Il 14 marzo, un portavoce, parlando a nome dell’assicuratore e della proprietà della petroliera, ha precisato che la perdita è stata causata da un danno strutturale al vettore, avvenuto in seguito al passaggio del ciclone Oma. “Il combustibile è fuoriuscito arrivando fino alla sala motore, ed è fuoriuscito attraverso una rottura nello scafo”. La scorsa settimana i proprietari del vettore si erano scusati per la lentezza delle operazioni di contenimento della fuoriuscita di petrolio, spiegando che la situazione era difficoltosa proprio a causa di quello stesso ciclone Oma che aveva innescato l’incidente.