export-i-rischi-di-una-hard-brexit

Export, i rischi di una hard Brexit

Secondo un’analisi di Duff & Phelps, un’uscita senza accordo avrebbe pesanti ripercussioni sull’esportazioni del nostro Paese verso il Regno Unito: la reintroduzione dei dazi avrebbe un costo stimato 1,3 miliardi di euro, con effetti negativi anche sui margini delle aziende attive nel settore

La Brexit è ormai intrappolata in un limbo. La bocciatura dell’accordo siglato dalla premier Theresa May pone il Regno Unito di fronte a un bivio: tentare un’ultima disperata mediazione o procedere verso un’uscita disordinata e senza accordo, dando vita alla cosiddetta hard Brexit. Una possibilità, quest’ultima, ritenuta in origine assai remota, ma diventata sempre più concreta con l’approssimarsi della scadenza del 29 marzo. E che rischia di avere pesanti ripercussioni sull’assetto economico mondiale, anche su quello italiano.
Uno studio della società di servizi finanziari Duff & Phelps ha recentemente analizzato il possibile impatto di una hard Brexit sulle esportazioni italiane nel Regno Unito. Nel 2017 il settore ha generato un giro d’affari di oltre 23 miliardi di euro, segnando una crescita del 3,4% rispetto all’anno precedente. Il segmento dei macchinari e delle apparecchiature si è imposto come quello più rilevante, con una quota del 13,4% sull’export totale verso il Regno Unito: seguono autoveicoli (11,3%), prodotti alimentari (8,7%) e articoli di abbigliamento (6,7%). Numeri che lasciano poco spazio all’immaginazione: l’export italiano nel Regno Unito funziona, alimentando una filiera virtuosa che genera benefici anche sul resto del territorio. Ed è per questo che una hard Brexit fa paura.
In caso di hard Brexit, gli accordi commerciali sarebbero infatti regolati dalle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio e, in particolare, dalla cosiddetta clausola della nazione più favorita, che impone un sostanziale divieto di discriminazione: ogni Stato si impegna ad accordare alla controparte lo stesso trattamento concesso a tutti i Paesi con cui non esistono specifici accordi commerciali bilaterali. Ciò, secondo uno studio della Banca d’Italia, comporterebbe l’applicazione di dazi elevati per alcuni settori assai rilevanti per l’export italiano: 13% per l’alimentare, 11% per l’abbigliamento, 8,8% per gli autoveicoli. Alla fine il dazio medio si attesterebbe a circa il 5%. E ipotizzando un’elasticità unitaria della domanda, comporterebbe una riduzione del giro d’affari di 1,3 miliardi di euro. Perdita che sarebbe addirittura più elevata se si considerassero anche gli effetti di barriere non tariffarie come quote di importazione, sussidi, ritardi doganali e ostacoli tecnici: in questo caso, secondo un’analisi del German Economic Institute di Colonia, la contrazione potrebbe attestarsi in una forbice compresa fra un terzo e la metà, ossia tra 7,5 e 11 miliardi di euro annui.
Una hard Brexit, conclude lo studio di Duff & Phelps, avrebbe inoltre effetti anche sul valore generato dall’export nazionale in Regno Unito: la cifra, attualmente a quota 22,4 miliardi di euro, potrebbe scendere di 1,1 miliardi nel breve termine e 8,9 miliardi nel medio termine.