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Una poltrona in ufficio

Il lavoro agile sta ridisegnando il sistema di relazioni umane all’interno delle aziende. L’obiettivo è migliorare l’efficienza dei propri dipendenti, con interessanti impatti sulla riduzione dei costi di gestione degli immobili. Ecco perché lo smart working conviene soprattutto agli imprenditori, a partire dalle imprese di grandi dimensioni

In azienda, per rilassarsi. Potrebbe cominciare così la settimana lavorativa nell’industria 4.0. Un salto in ufficio per confrontarsi con i colleghi e i dirigenti, un caffè nella sala bar e un po’ di relax su una comoda poltrona per leggere un giornale. È la rivoluzione del lavoro agile, che affascina gli imprenditori italiani, sempre più determinati a cogliere l’opportunità di migliorare l’efficienza degli spazi, spesso di notevoli dimensioni, che sono nel patrimonio dell’impresa. Perché lo smart working è molto di più dell’home working o della semplice conciliazione della vita privata con la vita lavorativa. È quanto è emerso dalla testimonianza dei dirigenti di grandi imprese coinvolte dall’Osservatorio Smart working del Politecnico di Milano, che il 30 ottobre ha presentato i risultati della ricerca 2018. Il lavoro da casa è solo una minima parte di un processo destinato a cambiare radicalmente i rapporti di lavoro interni all’azienda, con l’obiettivo di aumentare la produttività. In realtà, il centro dell’innovazione è la ridefinizione di tutto il sistema di relazioni umane, sia gerarchicamente, tra dipendenti e il rispettivo direttore, sia tra i lavoratori dello stesso team, sia nella collaborazione tra i diversi team. In questo scenario, i contratti collettivi dovranno cedere spazio a contratti personalizzati, dove imprenditore e dipendenti si accorderanno per condividere gli obiettivi. Una sfida per i sindacati, che con affanno rincorrono la digitalizzazione del lavoro e perdono contatto soprattutto con i dipendenti delle imprese più innovative. L’ufficio è destinato a diventare un hub dove si incroceranno nuove relazioni lavorative: al posto delle scrivanie, trovano spazio postazioni meno formali, collocate in open space, aree relax caratterizzate da comode poltrone, mentre armadietti personalizzati dedicati a tutti i lavoratori agili accolgono il materiale personale di chi ha la possibilità di andare in ufficio senza un rigido calendario di orari. Smart working significa quindi anche design, che chiama in causa professionisti specializzati nel ripensare gli spazi lavorativi.


Le grandi aziende sono la locomotiva


Il lavoro agile si sta affermando in Italia e già oggi coinvolge quasi mezzo milione di italiani (il 12,6% del totale degli occupati), in crescita del 20% rispetto al 2017. I dati sono della ricerca 2018 dell’Osservatorio Smart working, presentati da Fiorella Crespi e Marcello Corso, rispettivamente direttore e responsabile scientifico dell’Osservatorio. In prima linea nel cambiamento ci sono le grandi imprese. Il 56% del campione considerato ha dichiarato di avere adottato modelli di lavoro che introducono flessibilità del luogo e orario lavorativo, e promuovendo la responsabilità sui risultati. Si tratta di un vero e proprio boom, con un incremento in un anno di 20 punti percentuali. L’8% delle grandi imprese dichiara di voler introdurre progetti il prossimo anno, a cui si aggiunge un 2% che ha dichiarato di aver realizzato qualche iniziativa di smart working informale. Immobilismo invece si registra sul fronte delle Pmi: solo l’8% ha progetti strutturati, mentre il 16% informali. Ciò che ancora lascia perplessi è l’alto numero di piccole e medie imprese che sono ancora totalmente disinteressate a questo modello di lavoro: sono il 38%. Infine, la ricerca ha mostrato l’impatto della legge 81/2017 sulla pubblica amministrazione. Se l’82% delle grandi imprese aveva già introdotto e pensato al lavoro agile, indipendentemente dall'intervento della politica, la Pa ha avuto una piccola scossa, con l’8% degli enti pubblici che ha avviato un progetto strutturato, di cui più della metà è stato attuato in risposta alla riforma. Non è abbastanza, perché nonostante la legge imponga il cambiamento, più di due amministrazioni su tre hanno dichiarato che l’introduzione del lavoro agile nel prossimo futuro è solo probabile, incerta; il 7% è persino disinteressato.