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L’Italia in crisi di fiducia

Il sentiment di consumatori e imprese è sempre più negativo nei confronti dell'economia italiana, mentre aumentano i timori per la tenuta del debito pubblico. Al governo si chiedono misure concrete di rilancio

Un’estate all’insegna del pessimismo per famiglie e imprese rischia di essere solo l’inizio di una crisi di fiducia nei confronti del sistema Italia. Ma andiamo con ordine. Oggi l’Istat segnala il calo di fiducia di individui e aziende: secondo l’Istituto nazionale di statistica, l’indice che misura la fiducia dei consumatori è sceso dal 116,2 di luglio al 115,2, mentre quello delle imprese è passato da 105,3 a 103,8. L’Istat spiega che, nonostante il governo sembri non prestare attenzione a chi da tempo mette in guardia rispetto ai segnali di declino, la flessione della fiducia dei consumatori è proprio dovuta al deterioramento dell’economia: l’indice che misura questo dato è passato dal 141,3 di luglio al 136,6 del mese in corso. Anche in prospettiva, il clima economico preoccupa e fa tendere al pessimismo (da 120,9 a 119,3).

Per quanto riguarda le imprese, le cose non vanno meglio. Il clima di fiducia registra una dinamica negativa più accentuata nel settore manifatturiero, il cui indicatore passa dal 106,7 a 104,8: peggiorano sia i giudizi sugli ordini sia le attese sulla produzione. Ma anche nei servizi il pessimismo sta aumentando (da 105,9 a 104,7), giacché la diminuzione dell’indice di fiducia, dice Istat, "riflette una dinamica negativa dei giudizi sull’andamento degli affari e delle attese sugli ordini". Nel settore delle costruzioni, la variazione negativa c’è ma è di scarso interesse, mentre in controtendenza va il commercio al dettaglio, dove l’indice aumenta da 102,7 a 104,2. Nel comparto edile, Istat registra un nuovo peggioramento dei giudizi sugli ordini mentre le aspettative sull'occupazione sono in realtà in aumento. Per quanto riguarda il commercio al dettaglio, l’aumento dell’indice di fiducia dipende da un miglioramento delle vendite, sia nella grande distribuzione sia in quella tradizionale; tuttavia, il saldo delle scorte di magazzino è in diminuzione e le aspettative sulle vendite future sono in peggioramento.

In questo contesto non facile, a luglio i prezzi alla produzione dell’industria sono comunque aumentati dello 0,3% rispetto a giugno e del 3,2% rispetto a luglio 2017. La spinta arriva soprattutto dalle dinamiche positive dell’energia: al netto di quella componente, la crescita congiunturale è più contenuta (+0,1%) mentre l’incremento tendenziale è più che dimezzato (+1,2%).

Non si sono fatte attendere le prese di posizione del mondo produttivo e delle associazioni dei consumatori rispetto ai dati pubblicati da Istat. Secondo l’Ufficio studi di Confcommercio, il ridimensionamento della fiducia delle famiglie e delle imprese "rappresenta un altro indizio preoccupante sullo stato di salute dell’economia". Gli imprenditori sono preoccupati dal rallentamento della produzione e, in particolare nell’ambito manifatturiero, dall’accumulo di scorte. "Molto negative – continua Confcommercio – restano le valutazioni attuali e le attese nel piccolo commercio al dettaglio". Per quanto riguarda le famiglie, l’Ufficio studi fa notare che l’accelerazione dell’inflazione sta influenzando negativamente il potere d’acquisto, "contribuendo a determinare il profilo incerto del sentiment dei consumatori". 

Federconsumatori, dal canto suo, chiede politiche di rilancio e critica aspramente il governo. L’associazione dei consumatori rimprovera all’esecutivo di "distrarre gli italiani da questa situazione" parlando "solo di migranti". Continua Federconsumatori: "si paventano minacce provenienti dall'esterno per distogliere lo sguardo da quella che è la vera, allarmante, tragedia del nostro Paese, cioè la crescita delle disuguaglianze e l’avanzare della povertà. Sarebbe ora – conclude l’associazione – che il governo, abbandonati gli slogan da campagna elettorale, si metta concretamente al lavoro per contrastare attivamente questa tendenza, avviando politiche per la redistribuzione dei redditi e per il rilancio di un’occupazione stabile e di qualità".

La fragilità del sistema economico italiano è stata evidenziata anche dall'Ocse, che solo ieri certificava che l’Italia è l’unico Paese del G7 ad aver registrato nel secondo trimestre un rallentamento della crescita: tra aprile e giugno, la crescita dell’area è stata dello 0,6% contro lo 0,5% del primo trimestre, mentre in Italia ha rallentato da +0,3% a +0,2%. 

Se l’economia italiana dovesse prendere una brutta china, gli investitori internazionali non guarderebbero certamente a quanti migranti vengono fatti sbarcare nei porti italiani prima di vendere i Btp nei propri portafogli. "In un mondo globalizzato, se l’umore comune e le aspettative sono di vendere obbligazioni italiane, nessuno si metterebbe a fare il contrario: non ci sono cattivi e buoni, ci sono solamente persone razionali che cercano di capire se quello che si sta facendo porta o meno a uno sviluppo. In caso negativo, niente può compensare la fuoriuscita di capitali e l’esempio della Turchia insegna". Le parole sono di Rony Hamaui, docente di Economia monetaria all’Università Cattolica di Milano, sentito da Adnkronos, insieme ad altri professori di economia. 

Niente potrebbe frenare una crisi del debito se la fiducia verso l’Italia crollasse; nemmeno l’intervento di Stati Uniti, Cina o Russia potrebbero fare qualcosa per rifinanziare i 400 miliardi di emissioni annuali italiane, come prospettava il governo italiano, parlando di “uno scudo” anti speculazione. L’ipotesi, del resto, è ritenuta ampiamente "irrealistica" e "fantascientifica" dagli esperti interrogati dall'agenzia.