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L'Italia tra rivoluzione ed establishment

L'urgenza della cronaca politica impone una riflessione sulle variabili fondamentali con cui governare il Paese. Se ne è discusso in un convegno promosso dal Censis dove è emerso un sistema, seppur in forte mutamento, all'insegna del continuismo

Il sistema cambia continuamente pelle, ma nei fatti resta sempre lo stesso. Con questa sintesi, Giuseppe De Rita, presidente Censis, ha dato l'avvio ad un ciclo di eventi dal titolo, Per una cultura del governare, il cui primo appuntamento ha avuto come oggetto la discontinuità politica e le variabili fondamentali del governare.
Il “continuismo è la vera logica di evoluzione” che caratterizza da decenni il sistema sociale e politico dell'Italia, ha affermato De Rita, secondo cui comportamenti, programmi di governo e composizione della futura classe governativa sono il segno di un continuismo che rischia di produrre una mediocrità politica e sociale.
Per governare, secondo il presidente del Censis, occorre avere una visione di lunga durata, alla ricerca di un equilibrio fra continuità e discontinuità e fra istanze di libertà e di sicurezza; è necessario incardinare la politica nei processi socio-economici prendendo atto dell'importanza delle filiere produttive (Made in Italy, enograstronomia, turismo) - che danno vitalità alle nostre Pmi - e del welfare, dove oggi il ruolo dello Stato è sempre più marginalizzato; infine, bisogna rilanciare la partecipazione sociale e politica coinvolgendo i tanti e sempre più articolati soggetti sociali (sindacato, impresa, cittadini), sperimentando nuove forme di aggregazione intermedia nelle piattaforme di servizio e nello sviluppo ordinato dell'utilizzo dei social media.

La ribellione della periferia italiana
Tutto ciò, ad oggi, non è stato fatto e il disinteresse della politica verso le istanze del Paese ha creato la società del rancore e la crisi della classe media, causando il licenziamento di un establishment incapace di dare soluzioni adeguate ad una società in mutamento e in cerca di una via d'uscita dalla crisi. Massimo Franco, editorialista del Corriere della Sera, parla di una “periferia italiana (poveri e classe media) non integrata e non ascoltata che si è ribellata all'autoreferenzialità dell’establishment”. Ma il paradosso è che, oggi dopo le recenti elezioni, ci troviamo con un governo il cui presidente del consiglio non è stato eletto da nessuno, con il 40% di ministri tecnici e dove non si intravede un'opposizione vera, laddove la vittoria del nuovo è il frutto della mancanza di visione dei partiti tradizionali. Ora, spiega, non resta che sperare in una maggiore consapevolezza delle vere esigenze dell’Italia per girare pagina in modo definitivo: “chi scommette sul fallimento di Lega e 5 stelle, pensando di poter tornare indietro, si sbaglia”.

Indietro non si torna
Il vecchio mondo, dunque, è finito, concorda il giornalista Mario Sechi, che mette l'accento sulla rivoluzione in corso e sugli avvenimenti che stanno cambiando il panorama mondiale, quali la Brexit, la vittoria di Trump e della destra francese, le elezioni italiane e, nel 2019, anche quelle europee che rischiano di produrre un risultato forte: “non è l’Italia il problema dell’eurozona, ma è l’Europa dove monta l'euroscetticismo”. Il 2008 ha cambiato per sempre il rapporto della classe media con la finanza, vista ormai come un nemico, e il 2011 ha segnato la fine della seconda repubblica. Viviamo oggi in una società accelerata, con una politica fast democracy e una disintermediazione dei partiti: una rivoluzione che non risparmierà nessuno degli attori della precedente stagione politica e che potrebbe portarci, a livello comunitario, a due Europe, dove l'talia potrà contribuire a riportare un nuovo equilibrio.

Investire nella crescita
Il continuismo ha peggiorato le cose, spiega Mario Baldassarri, presidente centro studi Economia reale, secondo cui la proclamata austerità è stata perseguita attraverso una politica economica che ha prodotto bassa crescita e disoccupazione. La spesa corrente e le tasse aumentano, senza riuscire a contenere il deficit, e l'eredità di questo governo è un bilancio pubblico che pesa per il 50% del Pil e la revisione di una spesa che, fino ad oggi, ha previsto solo tagli agli investimenti pubblici e aumento dei trasferimenti. La prossima continuità avrebbe bisogno di un “coraggio politico a dosi industriali” per dichiarare con chiarezza dove si intende reperire e dove destinare le risorse, nel rispetto di un equilibrio finanziario. Nello specifico, per fare la flat tax e il reddito di cittadinanza è necessario intaccare quelle voci di spesa che foraggiano milioni di italiani e che, una volta tagliate, provocheranno una perdita di consenso di 6 milioni di cittadini, detentori di un patrimonio di 1000 miliardi di euro. Viceversa, è necessario destinare il fatidico 3% alla crescita, per far sì che l’Italia utilizzi le tante risorse di cui dispone.

Il rischio della verticalizzazione

Il quesito, ora, è se la ricomposizione sociale potrà venire dall'alto: se i partiti non riusciranno in questa impresa, il destino sarà una verticalizzazione stabile e securizzante del potere, legata a quei meccanismi e a quel tessuto intermedio che nasconde i partiti. Se così sarà, conclude De Rita, vorrà dire che l'Italia ha ancora bisogno di un establishment.