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Costruire ponti e non recinti

Era il mese di aprile 2016 quando Papa Francesco, dal porto di Mytilene nell’isola greca di Lesbo, esortava a dare spazio al cuore dell’umanità che vuole costruire ponti e “rifugge dall’illusione di innalzare recinti per sentirsi più sicura”.
Sono passati due anni dall’incontro del Pontefice con i profughi del campo di Mòria, e da allora gli inviti all’accoglienza, all’inclusione, alla condivisione, attraverso politiche di ampio respiro che sappiano sostenere questi valori fondanti per l’uomo sono andati via via moltiplicandosi. Esortazioni che ci sono arrivate non solo dal mondo cattolico, ma anche da una parte del mondo politico, economico e sociale.
Ripetuti sono stati i richiami, nel nostro Paese e a livello internazionale, a preservare il cammino finora svolto dall’Europa, insieme alla teoria economica del neoliberismo, al rispetto dei diritti umani e anche dell’ambiente.
Ma all’inarrestabile processo iniziato ormai anni fa con la nascita della ‘globalizzazione’ (termine che all’epoca intendeva condurre al massimo valore la capacità di apertura tra individuo, aziende e governi) si sta contrapponendo, con sempre più forza, quella volontà caparbia di innalzare muri per difendersi dallo straniero, affermare una presunta supremazia di popolo, di pensiero politico e religioso, di scelte di vita e anche di genere.
Così, oggi la protezione dei lavoratori e della sicurezza nazionale viene ricercata ignorando, o ripudiando, politiche fondate sul libero scambio e sul libero mercato. La risposta alle mosse di Donald Trump dipende dalle linee comuni che riusciranno ad adottare 27 Paesi in Europa (anzi 28, coinvolgendo anche la Gran Bretagna) e dagli equilibri, sempre più fragili, che questi riusciranno a mantenere verso le crescenti tendenze euroscettiche e populiste. E ciò accade in un anno in cui, in attesa del voto nel 2019 per rinnovare il Parlamento Europeo, l’Europa dovrà accelerare per realizzare con efficacia una serie di interventi mirati al completamento della governance dell’euro e alla creazione di un Fondo monetario europeo in grado di intervenire in tempo reale in situazioni di crisi.
L’urgenza, anche, è riuscire a costruire un fronte europeo capace di gestire il fenomeno dell’immigrazione e il suo impatto sociale, economico e politico. Solo in Italia il numero degli immigrati è aumentato, dal 2009 al 2017, di quasi il 40% passando da 4,5 milioni a 5,9 milioni. E nel nostro Paese la percentuale di immigrati è ancora limitata a quasi il 10%, contro il 13,3% di Germania e Regno Unito e contro l’11,8% della Francia.
In questo scenario, sarà l’effettivo riconoscimento dei diritti umani e dell’accoglienza a fare la differenza, se possibile, nell’evoluzione delle scelte dei diversi Paesi. Un ideale che si fonda, quindi, sul rispetto verso gli altri (i fratelli e le sorelle citate dal Pontefice). Lo stesso concetto, del resto, si applica anche a uno dei grandi temi su cui il mondo è chiamato da tempo a riflettere e a intervenire con adeguati correttivi: i cambiamenti climatici, e quindi l’inquinamento e tutte le conseguenze di abitudini e comportamenti che colpiscono l’ambiente.
Anche all’interno della famiglia, in tempi in cui si parla di quote rosa e reale affermazione della donna in ruoli chiave nella società, l’uguaglianza e il rispetto vengono ferocemente annullati dai fatti di cronaca. Basti pensare che dall’inizio del 2018 il nostro Paese ha assistito già a 24 femminicidi e che l’attuazione di un Piano strategico della violenza degli uomini contro le donne resta un bisogno sociale a cui rispondere efficacemente.
Insomma, spaziando dalla Brexit al protezionismo di Trump, dai populismi dilaganti fino al rifiuto di riconoscere il bisogno di proteggere il nostro pianeta, dalla famiglia allo straniero, l’umanità, quella a cui si rivolge Papa Francesco, sembra ostinata a non voler dare ascolto al più importante messaggio per scongiurare le minacce dei nostri tempi.
E questo perché ogni giorno si va ingigantendo il contrasto tra due tendenze opposte: l’etica della responsabilità, che comprende elementi di riflessione e impegno nel rispondere delle proprie azioni non solo verso se stessi ma anche verso gli altri, e l’etica della convinzione, caratterizzata da scelte prese “di pancia” e dall’autoritarismo incurante delle conseguenze dell’azione.
Il rischio è che il “sistema Paese” e “il Paese”, la politica e la popolazione, così come la famiglia e i suoi componenti, l’uomo e il suo vicino, o il pianeta e il territorio in cui viviamo, vadano progressivamente separandosi per isolarsi e costringersi in recinti sempre più distanti tra loro. Lo scopo, più o meno evidente, è quello di proteggersi, ma la realtà potrebbe presto rivelarsi come una pesante battuta di arresto, se non di involuzione, dell’essere umano. Una conclusione che appare inevitabile, considerando che nei recinti si resta chiusi (a volte intrappolati) mentre grazie ai ponti si superano ostacoli e pericoli: solo attraverso i ponti l’uomo può davvero avanzare e progredire.