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Gli italiani tornano risparmiatori

Più della metà della popolazione, secondo il tradizionale rapporto di Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi, è riuscita ad accantonare risorse nel corso del 2021. Molto, tuttavia, finisce ancora in liquidità e si conferma scarso il ricorso a strumenti previdenziali e assicurativi

Gli italiani hanno retto bene l’urto della prima ondata di pandemia. E si sono rapidamente riscoperti un popolo di formichine. Nel 2021, secondo l’ultima edizione dell’ormai tradizionale rapporto curato da Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi sulle abitudini di risparmio e investimento delle famiglie italiane, la percentuale dei risparmiatori si è attestata al 53,5%, mettendo a segno un netto rialzo dopo il ribasso (48,6%) registrato nel 2020 e riportandosi così a ridosso dei livelli che si registravano prima della pandemia (55,1%). In aumento anche l’intensità di risparmio, calcolata come la percentuale di reddito che la popolazione riesce ad accantonare nel corso dell’anno: il dato ha toccato mediamente quota 11,5%, in miglioramento rispetto al 10,9% del 2020 e, anche in questo caso, non lontano dai risultati raggiunti (12,6%) nel 2019. Più in generale, l’indagine, presentata nelle battute finali dello scorso anno, fotografa un’Italia che, nonostante pandemia, crisi energetica e inflazione, non sembra lamentare particolari difficoltà finanziarie: il 93,3% della popolazione si è detto finanziariamente indipendente, in leggero miglioramento rispetto al 92,1% dell’indagine precedente.
Tutto bene, dunque? No, perché il risparmio si conferma comunque una misura precauzionale contro i rischi del futuro. Appena il 17% degli intervistati, a tal proposito, ha dichiarato di accantonare risorse con un obiettivo specifico e di porsi in questo modo come un cosiddetto “risparmiatore intenzionale”. Molti di più, circa il 30% della popolazione, quelli che invece risparmiano per motivazioni puramente precauzionali.

Liquidità, poi l'inflazione

Il risultato è che anche nel 2021 è continuata quella che il rapporto definisce una “pioggia di liquidità” sul sistema economico italiano. L’indagine, in questo ambito, stima che durante la pandemia i depositi delle famiglie risparmiatrici siano cresciuti del 13%, mettendo a segno un rialzo in termini assoluti di 135 miliardi di euro. Il rapporto fra il denaro mantenuto liquido per motivi precauzionali e quello accantonato per i normali pagamenti si è attestato all’80%: prima della pandemia, giusto per avere un’idea, era fermo al 40%.
L’eccesso di liquidità, già di per sé una scelta inefficiente in condizioni normali, diventa particolarmente irrazionale in tempi di inflazione galoppante come quelli che stiamo attraversando. L’Istat ha recentemente stimato che a dicembre l’indice nazionale dei prezzi al consumo è aumentato dell’11,6% su base annua, portando l’inflazione media per l’intero 2022 all’8,1%: era dal 1985 che non si registrava una variazione di questo genere. Tutto ciò si traduce in una tassa occulta, la cosiddetta “tassa da inflazione”, che erode il valore dei capitali lasciati in liquidità nei depositi bancari o nei conti correnti. Il dubbio comincia a farsi strada anche tra la popolazione: secondo i risultati dell’indagine, il livello di soddisfazione relativo alla detenzione di liquidità è sceso al 14,8, perdendo terreno rispetto al 18 della precedente rilevazione.

Meno obbligazioni, più risparmio gestito

La prudenza degli italiani trova conferma anche nelle scelte di investimento. Secondo il 57% della popolazione, la sicurezza dell’impiego è l’aspetto da privilegiare nella selezione del proprio investimento. Al secondo posto si colloca la liquidità (49,7%) e solo dietro si piazzano il rendimento previsto a uno e cinque anni, entrambi fermi al 26,5%. A conferma di quanto già emerso, la preoccupazione principale nel processo di investimento è data dalla valutazione del rischio (52,9%), fattore quest’ultimo in grado di scalzare dal vertice della classifica elementi come il timing e l’asset allocation che invece dominavano le graduatorie a ridosso dell’anno 2000.
Per quanto riguarda le scelte di investimento, l’indagine rileva una sensibile riduzione delle obbligazioni: nell’anno del rialzo dei tassi di interesse, la quota di portafoglio riservata ai titoli a reddito fisso è passata dal precedente 29% all’attuale 23%. Sempre contenuta, seppur in leggera risalita, la quota di italiani che ha invece deciso di operare in azioni: il dato è passato dal 3,9% al 4,8%, con l’indice di soddisfazione che ha raggiunto il nuovo massimo storico di 6,5 investitori soddisfatti per uno insoddisfatto. In crescita anche la domanda e il ricorso a strumenti di consulenza finanziaria, a cui fa da contraltare un sensibile calo delle cosiddette soluzioni “fai da te”. La parte del leone la fa comunque il risparmio gestito: la quota di possessori d fondi e sicav è passata dal precedente 12,4% al 17,3%. Più in generale, almeno una forma di risparmio gestito è entrata nel 21% dei portafogli della popolazione.

Ancora poca previdenza e assicurazione

La cautela vista nell’ambito degli investimenti sembra contagiare anche il settore della previdenza. Il rapporto, a tal proposito, ha rilevato una leggera crescita (da 12,6% al 17,6%) del numero di cittadini che hanno sottoscritto una qualche forma di pensione integrativa. Il livello di adesione resta tuttavia piuttosto basso. E ciò, secondo i risultati dell’indagine, è dettato almeno in parte dalla convinzione diffusa di poter mantenere il proprio stile di vita anche negli anni della pensione grazie alla generosità del sistema previdenziale pubblico.
Ancora scarsa, infine, la diffusione delle polizze long term care, così come quella di forme di assicurazione contro altre tipologie di rischio: solo il 16,9% della popolazione, per esempio, ha sottoscritto una polizza sanitaria, mentre ancora più limitata risulta la diffusione di soluzioni di responsabilità civile a livello personale o familiare. Il rapporto, in questo ambito, sottolinea la necessità di prodotti che riducano le difficoltà economiche di accesso, ma anche il bisogno di strumenti di sensibilizzazione che possano promuovere la cultura dell’assicurazione e del rischio.