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Pandemia: cosa abbiamo imparato sul SSN

Cergas Sda Bocconi e Università di Firenze analizzano la sanità prima del Covid e durante la pandemia, e su questa base hanno creato un’agenda delle priorità per il futuro delle politiche sanitarie. Le esperienze positive sono best-practice da rendere strutturali per un servizio più efficiente e integrato sul territorio

La pandemia di Covid si è abbattuta su un sistema sanitario già fortemente colpito dai tagli e caratterizzato da processi di riorganizzazione non sempre portati a compimento. Il Servizio Sanitario Nazionale ha mostrato, di fronte a un’emergenza che ha investito una quota di popolazione enorme, tutte le sue fragilità. Soprattutto sul fronte della sanità territoriale, fondamentale per gestire e contenere l’emergenza, si è trovato del tutto impreparato a farlo.
Il coronavirus ha tuttavia rappresentato una spinta straordinaria allo sviluppo del sistema. Non solo perché ha imposto l’investimento di risorse che altrimenti non sarebbero mai state messe in campo, quanto perché ha messo chiaramente davanti agli occhi di tutti, decisori in primis, un gran numero di progetti da realizzare e di soluzioni da trovare.
In questo contesto, il Rapporto OASI 2020 elaborato dai ricercatori del Cergas Sda Bocconi, coordinati da Francesco Longo e Alberto Ricci, ha analizzato la sanità prima del Covid, evidenziando le grandi fratture create dall’improvvisa emergenza e accendendo i riflettori sulle lezioni apprese, sulle quali ridisegnare il futuro della sanità pubblica italiana.

Le dinamiche consolidate del Ssn dal 2008 al 2020
Il periodo intercorso tra la crisi finanziaria del 2008 e la pandemia del 2020 ha visto il Ssn appiattirsi, schiacciato da un endemico sotto-finanziamento, con la lenta e progressiva erosione del tasso di copertura pubblica (scesa al 74% del totale spesa sanitaria nel 2019) e con l’aumento dell’incidenza della spesa privata (26%). In parallelo, sono aumentati i servizi esternalizzati (pulizie, mensa, assistenza alla persona, ecc).
Si consolidavano, nel frattempo, logiche di razionamento della spesa su personale, beni e servizi, farmaci, medical device, prestazioni da privato accreditato ecc.. Tetti per silos di spesa che hanno favorito un progressivo processo di accentramento della funzione di indirizzo e controllo finanziario del Ssn a favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze e delle capogruppo regionali.
A caratterizzare il decennio passato anche la sostanziale convergenza finanziaria delle regioni verso il pareggio tra spesa e finanziamento sanitario. Ma, nel frattempo, i divari nord-sud e urban-rural per aspettativa di vita, aspettativa di vita in buona salute, livelli di output e outcome sono rimasti sostanziali e in alcuni casi sono addirittura cresciuti.
“Il livello di garanzia dei LEA da parte delle regioni in piano di rientro è migliorato, ma purtroppo si è ulteriormente amplificata la distanza dalle altre regioni, in un percorso stabilmente divergente”, osservano i ricercatori Cergas.

Pandemia, una spinta a fare sempre meglio
L’emergenza pandemica ha portato nuove consapevolezze sul valore della sanità pubblica e sulla sua traiettoria di sviluppo. La gestione della crisi ha richiesto decisioni rapide e tempestive in un contesto di incertezza e ad elevato tasso di dinamicità, che ha esaltato le capacità manageriali, con conseguenze determinanti per la gestione della emergenza.
Le aziende sanitarie hanno affrontato l’imprevedibilità del quadro epidemiologico e le criticità che ne derivavano con l’innovazione organizzativa (percorsi differenziati di accesso ai Pronto Soccorso, apertura/chiusura di reparti e terapie intensive Covid, gestione dei tamponi con postazioni drive-in, attivazione di “alberghi Covid”, incremento del ricorso a televisite e telemonitoraggi).
Bene anche sul fronte dell’integrazione dei servizi (centrali operative distrettuali, centrali operative ospedale-territorio, reti hub & spoke tra ospedali pubblici e privati accreditati), la scomposizione e ricomposizione continua dell’offerta così come delle skill professionali utilizzate. Il Rapporto evidenzia, ad esempio, che i Ssr hanno fronteggiato i picchi epidemici, tra l’altro, riconvertendo fino al 33% dei posti letto totali, e che la gestione della pandemia ha consentito il reclutamento (nella quasi totalità con contratti a tempo determinato) del 21% dei medici e del 12% degli infermieri in servizio nel Ssn prima della pandemia (in totale 83.180 operatori).
A questo si aggiungono la tempestiva acquisizione di beni e servizi e assunzione di personale e, in definitiva, l’allocazione flessibile delle risorse straordinarie messe in campo dalle gestioni commissariali nazionali e regionali.

Quattro indicazioni strategiche
Per comprendere e sistematizzare le lezioni apprese dalla crisi pandemia sulle strutture sanitarie e non lasciare alcuno spazio alle spinte, sempre possibili, al ripristino dello status quo ante, i ricercatori dell’Università di Firenze hanno condotto un’indagine intervistando 50 direttori generali di tutta Italia. Ecco quattro indicazioni strategiche di intervento maturate durante l’emergenza pandemica, elaborate dai ricercatori, che dovranno essere di stimolo per ripensare alla sanità del futuro.
-    Ripensare l’ospedale. L’emergenza ha insegnato l’importanza del lavoro di squadra, anche tra specialità diverse, e della capacità di rendere flessibili le strutture.
-    Rivedere la relazione tra ospedale e territorio. Diventa quanto mai vitale superare una volta per tutte la cultura «ospedale-centrica», implementando in maniera sistematica ciò che sul territorio ha dimostrato di funzionare nel corso della pandemia (es. uso della telemedicina, conoscenza approfondita dei pazienti fragili, setting nei quali gestire posti letto per cronici a conduzione non ospedaliera).
-    Ripensare il territorio adattandolo ai diversi contesti. L’innovazione non può essere uguale per tutti, lo standard dovrebbe essere costruito basandosi sulle performance, piuttosto che sui modelli organizzativi.
-    Riprogettare il dipartimento di prevenzione. È fondamentale riportare il dipartimento di prevenzione al suo ruolo di prevenzione primaria e di promozione della salute, e consolidare quella interattività e interdisciplinarità con i dipartimenti e i distretti, «come è successo con i tamponi», ormai imprescindibili.
Il bagaglio di esperienza e consapevolezza che ci lascia la pandemia è coerente con i cambiamenti richiesti, e non da oggi, per rispondere adeguatamente ai bisogni di salute, attuali e in prospettiva, della popolazione. Oggi più che mai, ciascuno è chiamato a fare la propria parte, in un contesto che porterà rapidamente il sistema ad affrontare con intensità e tensione verso il cambiamento una fase senza precedenti. Una fase che coinvolgerà tutti e che tutti dovrà essere in grado di riconoscere e valorizzare.