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Investimenti esteri, l’Italia arretra ma resiste

Nel sesto rapporto sull’attrattività del Paese, stilato da The European House – Ambrosetti, l’Italia scivola al 20esimo posto, perdendo otto posizioni dal 2020. Pesa la pandemia, ma anche un generale deprezzamento dell’Europa. Il Next Generation EU potrà essere la base per un piano di politica industriale

L’Italia è al 20esimo posto nella classifica dei 148 Paesi per attrattività degli investimenti esteri (indice Ide), dopo aver perso ben otto posizioni dall’anno scorso. Le cause sono note: la pandemia, ovviamente, ma anche uno scivolamento complessivo della competitività dell’Europa come mercato per gli investimenti esteri nel decennio 2009-2019: la quota di Ide attratti da Paesi europei è passata dal 40% al 24%. L’America del Nord è passata da 13% a 20% e l’area Asean da 3% a 12%. Il 2020 ha amplificato esponenzialmente il trend e l’Europa è scesa a una quota del 7%. 

Questi sono tra i dati più significativi dell’ultimo rapporto stilato da The European House – Ambrosetti che disegna, dal 2016, una mappa dell’attrattività globale condizionata di volta in volta, dall’economia, dalla società e dal quadro geopolitico internazionale e, per la prima volta, da una pandemia che, come si legge nel rapporto, “ha messo al centro il tema della sicurezza sanitaria come precondizione della competitività dei sistemi-Paese”. 

Un Paese costantemente in sofferenza 

Si diceva dell’Italia che scivola insieme all’Europa, pur con uno score complessivo che è in miglioramento: 61,32 nel 2021 contro 59,50 nel 2020. Secondo Ambrosetti è il segno di un Paese in sofferenza, “costantemente minacciato dalla maggiore velocità degli altri, ma molto resistente”. Nel quinquennio 2017-2021 l’Italia in realtà ha fatto bene, guadagnando cinque posizioni. 

Per fortuna, dal punto di vista europeo il quadro è ora in evoluzione: il Next Generation EU, ricorda il centro studi, non è stata solo “un’estemporanea prova di solidarietà”, ma un piano di politica industriale, che punta su “un rinnovato ruolo delle partnership tra pubblico e privato per l’accelerazione di investimenti che siano realmente trasformativi per le economie dei Paesi membri”. 

Tornando all’Italia, nella rilevazione del 2021, come detto, il Paese scende al 20esimo posto ma riduce il gap di attrattività nei confronti di Germania e Francia. Il calo degli investimenti esteri a livello mondiale è stato del 35%, in Europa dell’80% e l’Italia paga la perdita di peso strategico del vecchio continente, ma ha il vantaggio, rispetto ai principali concorrenti, di un “maggiore equilibrio nell’insieme degli indici relativi al posizionamento, la dinamicità, la sostenibilità e alle aspettative di crescita”.

Non confondere politica industriale e sussidi 

È vero che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr, 235,12 miliardi di euro di cui 191,5 da Next Generation EU) è finanziato in modo imponente, ma per sperare in un impatto duraturo sul tasso di crescita del Paese occorre alzare il volume degli investimenti privati e soprattutto dall’estero. 

“Si apre quindi l’importante capitolo per il rilancio del sistema-Paese legato alle politiche industriali”, dicono gli analisti del rapporto. La politica industriale sarà alla base del funzionamento di un sistema economico avanzato: “in assenza di un coordinamento – chiosano –, i singoli player si muovono secondo logiche individuali, senza sfruttare possibili spillover derivanti dalla creazione di sinergie. È ciò che comunque avviene quando si confonde un piano di politica industriale con l’elargizione di sussidi a favore delle imprese”.