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Il Pnrr raccoglie fiducia e timori

Il piano di investimenti dei fondi europei del Next generation EU rappresenta un’opportunità per il Paese, ma oltre la metà degli italiani si mostra diffidente sulla capacità di un utilizzo trasparente e realmente efficace

Per gli italiani il rischio principale per l’utilizzo dei fondi del Recovery Fund è che vengano spesi … all’italiana. A parte la facile battuta autolesionista, le perplessità emerse da un’indagine Censis in collaborazione con Accredia, sono tutt’altro che banali e fanno percepire come alle attese per l’opportunità rappresentata dai fondi europei faccia da contraltare il timore di un fallimento per l’impreparazione nella capacità di gestirli secondo i modi e i tempi necessari.

Sono concrete e consapevoli le perplessità che emergono dalla ricerca, e rendono tangibile il peso della sfida che il governo Draghi ha di fronte nella realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il piano di investimenti previsti per realizzare i progetti che saranno finanziati dal Recovery Fund, nell’ambito del programma Next Generation EU definito dall’Unione Europea.

La velocità sarà una condizione necessaria per rispettare gli impegni ma questa va intesa come esito di un iter efficiente di progettazione delle attività, della loro implementazione e dell’erogazione delle risorse, non certo come approccio frettoloso, dal quale possono derivare errori e che potrebbe incentivare il ricorso a scorciatoie burocratiche o nella scelta di chi potrà eseguire concretamente le attività progettate.

Serve rapidità ma con la certezza dei controlli
Secondo lo studio “La certificazione accreditata al servizio del Recovery plan” - realizzato dal Censis in collaborazione con Accredia, l’ente unico nazionale di accreditamento – tre italiani su quattro temono che la corsa a utilizzare i fondi possa portare a una riduzione dei controlli e quindi a un aumento di forme di illegalità. L’attenzione a muoversi entro i limiti imposti dalla legge va di pari passo con la ricerca della sicurezza e della qualità nell’esecuzione dei progetti. Dalla ricerca emerge come l’applicazione del Piano nazionale di ripartenza e resilienza, a cui afferiranno i fondi europei, porti con sé esattamente la sfida a individuare le vie più rapide: queste dovranno però essere caratterizzate da meccanismi efficaci e fluidi, che garantiscano l’efficienza in tutto l’iter di progetto, e associate alla qualità del risultato finale, che deve essere in piena linea con gli obiettivi. In questo senso, solo il 6,5% degli intervistati ritiene che sia opportuno azzerare del tutto i controlli per spendere le risorse con la massima celerità, mentre il 56,4% sostiene che le risorse vadano spese velocemente ma con adeguate verifiche del rispetto di norme e regole, e un più diffidente 30,4% mette avanti a tutto l’esigenza di controlli ferrei da parte dello Stato, anche a costo di rallentamenti.

Preoccupano lobby e burocrazia
C’è poi un’ulteriore preoccupazione negli italiani, ancora maggiore rispetto a quella dei meccanismi per l’approvazione e la realizzazione dei progetti. Va da due intervistati su tre a quattro su cinque la quota di coloro per i quali le prospettive di svolta per il paese rappresentate dal Pnrr possono infrangersi su quelli che sono considerati da tempo i mali diffusi delle relazioni tra impresa e pubblica amministrazione. La principale preoccupazione è che lobbismo e interessi particolari prevalgano sull’interesse collettivo, orientando le risorse per il vantaggio di pochi (lo teme l’80,4%); afferiscono a questa linea anche il 65,7% degli intervistati secondo i quali non ci sono garanzie sul fatto che verranno approvati i progetti effettivamente migliori, e il 65% che teme che gli investimenti vengano dirottati su questioni non prioritarie, mettendo a rischio la ricaduta positiva del Piano sulle economie locali e sulla qualità della vita dei cittadini. Tra le preoccupazioni largamente condivise c’è poi l’eccesso di potere delle burocrazie (75,8%) e il fatto che il doversi districare tra norme e regolamenti possa rallentare l’impiego delle risorse (66,6%).

L’accreditamento come semplificatore delle valutazioni
Una potenziale risposta ai timori diffusi emersi dalla ricerca Censis – Accredia riguarda la possibilità di ricorrere all’accreditamento delle imprese, strumento che certifica la loro conformità alle norme permettendo così di accorciare i tempi burocratici di verifica. Attualmente sono operativi in Italia oltre 2.000 organismi e laboratori accreditati del settore Tic (Testing, Inspection and Certification) che possono valutare imprese, professionisti, prodotti e servizi rilasciando le relative certificazioni. Secondo Accredia e Censis, con un più ampio ricorso alla certificazione accreditata verrebbero amplificati anche i benefici ambientali e sociali, per un valore stimato in 2,2 miliardi di euro annui. Gli impatti positivi sull’ambiente si traducono in riduzione di emissioni inquinanti e risparmio energetico, mentre quelli sul lavoro nella riduzione degli infortuni. Attualmente sono 90mila le imprese certificate sotto accreditamento, e i redattori dello studio stimano che raggiungere un obiettivo di 150mila genererebbe un valore aggiuntivo pari a 30 miliardi di euro entro il 2023.