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Quali medie imprese usciranno dalla crisi?

L’inatteso arrivo della pandemia ha trovato le aziende italiane diversamente strutturate per far fronte agli inevitabili contraccolpi economici. Patrimonializzazione, liquidità e gestione del rischio sono elementi che alla fine faranno la differenza, con la prospettiva di grandi cambiamenti nel segmento

In un panorama di incertezza, come quello che stanno vivendo le imprese in questo contesto di pandemia, gli strumenti di analisi contano meno delle capacità imprenditoriali, prima fra tutte la visione strategica. I dati e quanto serve per approfondire meglio la conoscenza della situazione vengono messi al servizio di chi ha le skill per governare un’azienda.
Sono considerazioni che emergono dai risultati del VIII Osservatorio sul Risk management nelle medie imprese, realizzato da Cineas e Mediobanca, presentati da Gabriele Barbaresco, direttore dell’Ufficio Studi di Mediobanca, nel corso di un webinar organizzato da Cineas e moderato da Maria Rosa Alaggio, direttore di questa testata, dal quale è emerso come le imprese che hanno la capacità di gestire i rischi e si siano strutturate per farvi fronte stiano navigando meglio nella tempesta rappresentata dal Covid-19. L’indagine è stata svolta con riferimento alle medie imprese italiane del manifatturiero, caratterizzate in genere da una gestione familiare. Nonostante le difficoltà, molte aziende hanno saputo gestire la situazione e si presenteranno alla “nuova normalità” più attrezzate, allargando il gap rispetto ad altre meno pronte: una situazione che potrebbe evolvere in profondi cambiamenti per l’attuale struttura del settore, con acquisizioni e minore centralità delle famiglie a favore di partnership esterne.

Una crisi economica a impatto differenziato
Per il target oggetto della ricerca, l’impatto economico della pandemia porta a previsioni che parlano di un calo medio del fatturato per l’anno in corso dell’11%, con differenze in negativo per i settori che hanno dovuto sospendere l’attività (-18%), quelli che hanno avuto un fermo parziale (-14%) e chi ha avuto invece una sostanziale continuità aziendale (-1%), percentuali che si acuiscono anche a seconda delle tipologie merceologiche.
Un primo punto di indagine ha verificato la propensione a mantenere gli investimenti inizialmente previsti per il 2020, e ha mostrato un nesso diretto tra le attese negative di chiusura d’anno e la programmazione finanziaria, con chi ha subito minori danni che investirà di più. Nel complesso, circa il 55% delle imprese non prevede una riduzione del proprio volume di investimenti (in termini di vendite a fine 2020 queste segneranno in media perdite contenute a -7,8%), il 4,8% delle imprese prevede un aumento dei propri investimenti, il 37,7% ne prevede la riduzione e il 2,8% un azzeramento (attese in questo caso per una chiusura d’anno molto negativa, pari a -33% medio). Ma c’è un altro elemento: le aziende che non hanno intenzione di ridurre gli investimenti hanno lavorato meglio negli ultimi anni sul proprio lato finanziario e si trovano oggi con un minore livello di indebitamento e con fatturati e reddittività migliori rispetto a chi dichiara di voler ridurre la propria quota di investimento. In sintesi, patrimonializzazione, liquidità e dimensione si presentano come elementi di garanzia di fronte oggi alla pandemia e domani ad altri “cigni neri” che si potranno manifestare.

Più attenzione alla gestione del rischio
In termini di gestione del rischio, il Covid-19 sembra aver portato un’accelerazione in un trend che si era comunque manifestato relativamente positivo negli ultimi anni. L’Osservatorio pone in confronto le rilevazioni del 2016 e del 2020 evidenziando un positivo incremento delle imprese che stanno strutturando un proprio sistema di gestione del rischio, con una percentuale progressiva che indica un percorso in atto nel 90% delle medie imprese manifatturiere: si coglie quasi un’evoluzione del livello di risk management di cui le aziende si sono dotate, con il “sistema integrato” dichiarato oggi dal 38,6% delle imprese rispetto al 17,2% del 2016, un’adozione segmentata (per singola BU o divisione) dal 31,4%, un aumento di chi valuta l’adozione (oggi al 20,1%) e il 9,9% che ancora non sta prendendo in considerazione la materia. Pur nella positività di una crescita di adozione e di interesse verso i sistemi di gestione del rischio, va sottolineato che nella maggior parte dei casi si tratta di adesioni parziali, con solo l’8,2% delle imprese che afferma di avere un sistema di analisi strutturato in almeno 3 o 4 operazioni, e il 13,9% dotato di un cda che si informa e agisce nella gestione del rischio.
Per far fronte a situazioni particolari, qual è la pandemia, la dottrina della gestione del rischio prevede la formalizzazione di un comitato di crisi interno, una pratica che a inizio 2020 era adottata solo dall’11% delle aziende osservate, mentre oggi è uno strumento presente in circa il 53% delle aziende. Dall’altro lato, stupisce che tra settembre e ottobre, quando già si poteva intravvedere una seconda ondata pandemica, il 47,5% delle aziende dichiarava di non aver messo in previsione investimenti per farvi fronte, contro il 52,5% che invece aveva preso qualche forma di provvedimento. Tra questi, ha commentato Barbaresco, “nella maggior parte dei casi si tratta di iniziative di scarso impatto sul lungo periodo e dettate dalla contingenza immediata – quali le videoconferenze o il controllo a distanza della salute dei dipendenti – mentre sono pochi gli interventi strutturali che rispondano a una precisa strategia per governare meglio la nuova normalità (ad esempio automazione, manutenzione a distanza, diverse scelte commerciali di distribuzione o di fornitura)”. 

Si prepara una rivoluzione tra le aziende?
Con simili premesse si intravvede un’uscita dalla pandemia con medie imprese più forti (in genere quelle che ad oggi hanno una dimensione maggiore) ed altre fortemente colpite dagli effetti economici sulla propria struttura. In ogni caso, è possibile che l’impatto del Covid-19 agisca da acceleratore per iniziative di proprietà o di governance che sono state già avviate o sono prese in considerazione in questi frangenti, e che avranno forse un impatto maggiore in prospettiva trattandosi di un segmento imprenditoriale con una forte componente di proprietà familiare.
Secondo l’Osservatorio, il 15,9% delle aziende vede l’opportunità di effettuare acquisizioni di altre imprese del settore, un altro 15,9% pensa di rinnovare la linea manageriale al fine di un rilancio o di un rafforzamento: si tratta in entrambi i casi delle aziende che presentano i migliori dati economici. Vengono valutate poi tre misure di tipo difensivo (la vendita dell’azienda, l’ingresso di partner industriali o di soci finanziari) che in totale riguardano il 13,8% delle imprese intervistate, caratterizzate peraltro da aspettative peggiori per il 2020 e da economics più fragili. Un terzo cluster raccoglie le imprese più legate alla struttura familiare, che si muoveranno per favorire il cambiamento attraverso un’accelerazione del passaggio generazionale (9,1%) e altre che invece, in via cautelativa, lo ritarderanno (2,1%).