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Una tecnologia italiana contro le infezioni in corsia

Ogni anni in Europa si contano circa 37mila decessi attribuibili a questa causa, 7.000 solo in Italia. Un nuovo metodo di sanificazione ideato e sviluppato da Copma si è dimostrato essere un’arma efficace per contrastare questo problema

In Europa, secondo i dati dell’Oms, i numeri sono ancora più allarmanti: le cosiddette Ica, infezioni correlate all’assistenza, provocano ogni anno 37.000 decessi attribuibili a questo fattore, e 110mila decessi per i quali l’infezione rappresenta una concausa. I soli costi diretti di questa vera e propria emergenza negli ospedali ammontano a circa 7 miliardi di euro. In Italia sono oltre 7.000 i degenti che muoiono a causa di un’infezione contratta in ospedale. Fino a 700mila casi di infezioni ospedaliere su 9 milioni di ricoveri, l’1% dei quali con esito letale.
Un’arma per affrontarla potrebbe arrivare da un metodo innovativo di sanificazione degli ambienti ospedalieri basato non uno sterminio dei batteri patogeni, ma sul ripristino dell’equilibrio nella competizione tra quelli buoni e cattivi. Il sistema di sanificazione si chiama Pchs (probiotic cleaning hygien system), ed è stato ideato e sviluppato da Copma, azienda italiana nata nel 1971 e oggi tra i più importanti player globali nel campo della sanificazione ambientale e sanitaria. I risultati del nuovo sistema, in sperimentazione da alcuni anni, sono stati illustrati durante il web congress Azioni di contrasto alle infezioni correlate all'assistenza e all'antibiotico-resistenza nell'emergenza Covid-19, organizzato dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs.

Un’epidemia tenuta sotto traccia

Quella delle infezioni ospedaliere, ha spiegato Gianni Rezza, direttore generale della prevenzione presso il ministero della Salute, “è stata in passato un’epidemia tenuta sottotraccia” ma “la prevalenza tra i ricoverati è di circa l’8%, anche se varia da reparto a reparto e può andare dall’1-5% al 23% a secondo del reparto”, ha ricordato. A provocarle sono batteri come l’Eschirichia coli, resistente a cefalosporine, e lo Stafilococco aureus resistente alla meticillina. L’uso frequente di disinfettanti aiuta a ridurre i rischi, ma può aumentarne in futuro. Secondo Patrizia Laurenti, professore associato di Igiene all’Università Cattolica, “l’elevato impatto ambientale dei disinfettanti chimici, l'effetto biocida che si esaurisce in fretta, la diversa efficacia rispetto ai materiali e il possibile sviluppo di resistenza ai biocidi, sono quattro fattori che ci impongono di andare oltre il metodo di sanificazione basato sullo sterminio dei patogeni”.
Per questo è stata valutata l'efficacia di un sistema di sanificazione ambientale, denominato Pchs, che rispecchia “quanto accade nel microbiota dell’intestino, ovvero si basa sulla modifica dell'equilibrio dei batteri presenti, patogeni e non”. L’efficacia del Pchs è stata valutata in alcune stanze del Policlinico Gemelli. Dall’analisi della carica batterica di campioni prelevati pre e post sanificazione si è visto che, dopo la sanificazione, i patogeni “rimangono sempre sotto un certo limite”.

Un rischio da eccesso di disinfettanti

Parlarne di questo sistema di pianificazione in un periodo in cui le strutture ospedaliere si trovano a dover gestire anche l’emergenza Covid è importante: “diversi documenti emessi anche dall’Organizzazione mondiale della sanità ci ammoniscono sul rischio dell’utilizzo eccessivo anche di disinfettanti e antibiotici che in questo periodo viene fatto, perché questo potrebbe ulteriormente aggravare la situazione dell’antibiotico-resistenza e quindi delle infezioni correlate”, ha spiegato Elisabetta Caselli, Professore associato di Microbiologia presso l’Università di Ferrara, tra gli autori della ricerca sulla resistenza antimicrobica, realizzata grazie alla collaborazione tra diversi atenei e ospedali italiani.
Il rischio è quello di “gestire oggi l’epidemia in emergenza senza pensare a una pandemia futura dovuta a infezioni e antibiotico-resistenze che potrebbe essere anche peggiori in termini di numeri. Noi ci siamo occupati di uno dei tasselli importanti nella lotta all’antibiotico-resistenza, ovvero la sanificazione ambientale”, ha detto Caselli. Si è trattato di un lavoro durato oltre 10 anni e i numeri ottenuti in studi multicentrici mostrano che si riesce a eliminare oltre l’80% in più di patogeni rispetto alla sanificazione chimica e che questo dato si associa effettivamente a una diminuzione delle infezioni di oltre il 50%, “valore che neanche noi inizialmente ci aspettavamo, in associazione tra l’altro a un calo dell’antibiotico-resistenza dei germi presenti al livello del microbiota ospedaliero”. Uno studio recente dell’Università Bocconi ha messo in evidenza che con questo nuovo sistema si potrebbero prevenire in 5 anni 31 mila infezioni.