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Bar e ristoranti: i numeri della crisi

L’estate, con le vacanze e i saldi, ha portato un po’ di sollievo agli esercizi commerciali in difficoltà dopo il lockdown, non sufficiente però per poter affermare di essere veramente ripartiti. E nelle grandi città è mancato il turismo, soprattutto straniero

L’estate ha riservato una boccata d’ossigeno agli esercizi commerciali, martoriati dalle limitazioni negli spostamenti determinate dalla pandemia, ma il settore rimane in grave crisi e le prospettive di tornare ai risultati pre-Covid sono molto incerte. L’estate, su cui gli esercenti riponevano le proprie speranze, è stata meno positiva delle attese nei mesi di giugno e luglio, e la ripresa di agosto rischia di essere in realtà solo una parentesi, che ha peraltro favorito solo alcune zone: le cronache mostrano spiagge affollate e lunghe file sui sentieri di montagna, mentre le città d’arte lamentano scarsità di visite; ovunque, in questa estate italiana latitano gli stranieri.
Secondo Fipe Confcommercio il calo di presenze nelle città turistiche di tutto il Bel Paese è tale che circa il 70% delle attività ha ritenuto più conveniente tenere chiuso, mentre chi ha aperto incassa il 50-60% in meno rispetto all’estate scorsa; da gennaio ad agosto la perdita media di fatturato nel settore è del 40%, ma con un 30% di esercizi che ha perso fino l'80% di fatturato. Mancano soprattutto i turisti stranieri, e gli italiani si limitano a visite “mordi e fuggi” con un occhio attento al portafoglio. Secondo un’analisi di Istat, senza il Covid-19 solo tra marzo e maggio di quest’anno si sarebbero contate 81 milioni di presenze turistiche in Italia e il 20,3% delle presenze di stranieri nell’anno, che avrebbero coperto il 23% delle prenotazioni alberghiere dei dodici mesi; solo per la mancanza di visitatori da oltreconfine, si sono persi nel periodo indicato 9,4 miliardi di incassi.

Ripartire per non morire
Se riparte la scuola riparte l’Italia, si sente dire in questi giorni, ma anche se riaprono gli uffici e lo smartworking torna ad essere un’opzione utile e non la modalità di lavoro prevalente. Aprire scuole, università, uffici, significa tornare a far vivere le città, e con esse i ristoranti, i bar e i negozi che, secondo la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi vivono oggi un crollo di fatturati del 50% e di un terzo degli occupati. L’incognita da cui tutto dipende è il ritorno in autunno del contagio da Coronavirus su grande scala, anche se tutti sanno che un nuovo lockdown non sarebbe sostenibile per nessuna economia.
Secondo dati Istat rielaborati dal Corriere della Sera, tra febbraio e la fine di giugno si sono persi complessivamente in Italia 598mila posti di lavoro, con un’economia che ha segnato un -17,3% nei primi sei mesi dell’anno in corso rispetto al 2019.

Questi dati riflettono le informazioni diffuse dal Centro Studi di Fipe-Confcommercio, che stimano per agosto un calo di oltre 303mila posti di lavoro nei pubblici esercizi rispetto allo stesso mese del 2019, di cui 124mila nei ristoranti, 62mila nei bar, 52mila nelle imprese di fornitura di pasti pronti, 46mila nelle aziende di catering e banqueting e 13mila negli stabilimenti balneari, cifre a cui vanno a sommarsi, tra gli altri, i dipendenti dei locali da ballo. 

Anche i saldi in chiaro – scuro
Il polso dei negozi al dettaglio offerto da Confesercenti segnala che la ripresa dei consumi è ancora timida, mentre meglio sembra andare per la grande distribuzione. Un dato in linea con questa percezione arriva da Federmoda Confcommercio, che a Ferragosto ha comunicato i risultati dei primi quindici giorni di saldi, stimando un calo di incassi nei negozi di circa 1,4 miliardi di euro, con acquisti complessivi per 2,1 miliardi contro i 3,5 della stessa rilevazione dello scorso anno. In un sondaggio di Federazione Moda Italia-Confcommercio, il 74% delle attività commerciali intervistate afferma di aver subìto un calo delle vendite rispetto ai primi dieci giorni di saldi del 2019, il 14% rileva vendite stabili e per il 12% sono in aumento. A risentire maggiormente del calo degli acquisti sono i negozi nei centri delle città, minori difficoltà si registrano nelle periferie, nei centri minori e nelle località turistiche: il 53% delle aziende che ha partecipato al sondaggio ha evidenziato un calo del fatturato entro il 30% rispetto all’anno scorso, per il restante 47% la perdita è stata superiore, arrivando a toccare un -70/80% nei centri delle grandi città.

Guardare avanti con ottimismo?
La luce in fondo al tunnel potrebbe essere preannunciata da un aumento del clima di fiducia complessivo. In questa estate contrastata, che prelude ad un autunno molto incerto, l’Istat rileva ad agosto un aumento della fiducia dei consumatori (passata da 100,1 a 100,8) e delle imprese (da 77,0 a 80,8). A contribuire alla crescita dell’indice tra i consumatori sono soprattutto le attese positive per il clima economico (salite da 85,9 a 90,1), il clima corrente (da 97,3 a 98,1) e quello futuro (da 104,3 a 105,3), cala invece l’indice della componente personale (da 105,2 a 104,9). Sul lato delle imprese, la fiducia cresce in particolare nel settore dei servizi di mercato (passando da 66 a 74,7) e nel commercio al dettaglio (da 86,7 a 94), meno evidente la crescita nell’industria manifatturiera (da 85,3 a 86,1) e nelle costruzioni, dove aumenta da 129,7 a 132,6.
C’è voglia di ripartire, di affrontare le novità. Il tutto, Covid permettendo.