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Dove va l'intelligenza artificiale?

Un'indagine del Massachusetts Institute of Technology ha analizzato prospettive, scenari, aspettative e ritardi dell'utilizzo dell'intelligenza artificiale: le attese sono alte, nessuno vuole restare indietro, ma lo sviluppo resta lento e ostacolato da vincoli regolamentari e mancanza di risorse

L'intelligenza artificiale non è più un semplice argomento da nerd. Dopo essere rimasta a lungo confinata in laboratori e centri di ricerca, l'intelligenza artificiale ha rotto definitivamente gli indugi e si è fatta prepotentemente spazio in ambiti e settori che, almeno fino a qualche anno fa, poco e nulla avevano a che spartire con l'innovazione tecnologica. Anche il mondo imprenditoriale è stato investito dalla novità, una delle tante che probabilmente, insieme ad automazione e dispositivi connessi, condurrà alla quarta rivoluzione industriale. E così tutti i settori industriali, a prescindere dalla posizione geografica o dall'ambito di lavoro, hanno iniziato a parlare di intelligenza artificiale: stando ai risultati dell'indagine The global AI agenda: promise, reality and a future of data sharing del Massachusetts Institute of Technology (Mit), il 97% delle imprese a livello globale ha adottato strumenti di intelligenza artificiale, mentre il restante 3% prevede di adottarli entro la fine del prossimo anno.

LA PORTATA DEL FENOMENO

Condotta su un campione di oltre mille manager che appartengono a 11 diversi settori industriali, l'indagine è stata realizzata in collaborazione con Genesys e Philips. E si propone di analizzare scenari e prospettive di sviluppo dell'intelligenza artificiale nel mondo imprenditoriale, arrivando a rilevare le aspettative del mercato e gli eventuali ostacoli che aziende e istituzioni saranno costrette ad affrontare nel corso del loro cammino. Il primo punto che balza all'occhio, come visto, è proprio la portata del fenomeno: tutti stanno facendo ricerca e analisi sull'intelligenza artificiale. Il settore dell'innovazione e delle telecomunicazioni, come facilmente prevedibile, è quello più coinvolto (81%), seguito a breve distanza dal mondo dei servizi finanziari (78%) e da quello dell'offerta di beni e servizi di consumo (75%). Più in generale, il 60% delle imprese ritiene che nei prossimi tre anni l'intelligenza artificiale influenzerà fino a un terzo dei propri processi di business. C'è poi chi si spinge anche più in là, arrivando a ipotizzare che le nuove tecnologie potranno soppiantare complementare i modelli di business tradizionali. A detta di Daniel Schreiber, ceo di Lemonade, società nata come semplice insurtech e diventata in breve tempo una realtà consolidata nel mercato delle assicurazioni, i bot di intelligenza artificiale potranno per esempio imporsi come “il futuro delle polizze”.

OLTRE LE ASPETTATIVE
Il successo dell'intelligenza artificiale è dettato soprattutto dai risultati che l'innovazione tecnologica è riuscita a portare in questi anni. Il ritorno degli investimenti nel settore ha generalmente soddisfatto (59%), quando non superato (37%), le aspettative dei soggetti promotori: nel 2019, soltanto l'1% del campione è rimasto fortemente deluso dai risultati raggiunti. Chi si è mosso prima, seppur fra le inevitabili difficoltà dell'essere first mover, ha avuto la possibilità di cogliere maggiormente i frutti della sperimentazione. E tutti gli altri si sono accodati.
Il principale beneficio atteso, citato dal 51% degli intervistati, è dato da efficienza operativa e aumento dei risparmi. Seguono poi il miglioramento dei processi decisionali (44%) e maggiori livelli di customer experience (41%). A livello operativo le aree maggiormente interessate sono controllo qualità, assistenza ai clienti e rilevazione delle possibili frodi. In questo caso, le differenze fra i diversi settori industriali si fanno più marcate. Nell'ambito dei servizi finanziari, per esempio, i sistemi anti-frode costituiscono il settore maggiormente oggetto di sperimentazioni. Restando nell'ambito delle assicurazioni, la manager francese Céline Le Cotonnec, un passato nel gruppo Axa e un presente come chief data innovation officer per Bank of Singapore, ha affermato che la rilevazione di frodi è stato il primo settore a essere sperimentato, anche perché i risultati possono essere consistenti e immediatamente visibili: secondo una ricerca del 2017 condotta da Reinsurance Group of America, il 3-4% dei sinistri a livello globale risulta a rischio frode.

OSTACOLI ALLO SVILUPPO
Nonostante le alte aspettative, lo sviluppo dell'intelligenza artificiale risulta tuttavia ancora lento: la tecnologia impiega anni prima di dare i suoi frutti. E ciò per tutta una serie di ragioni. In primo luogo, sussistono ancora vincoli di natura etica: gli algoritmi di intelligenza artificiale, mai pienamente prevedibili, possono generare risultati inaspettati, del tutto indesiderabili nelle intenzioni degli sviluppatori. Nel marzo del 2018, per esempio, una donna che attraversava la strada è stata investita e uccisa da un'auto a guida autonoma di Uber. Altri errori, fortunatamente non così drammatici, sono capitati a software di riconoscimento facciale e a sistemi di analisi delle immagini. Alcune importanti società tecnologiche, come Google e Amazon, sono corse ai ripari predisponendo comitati etici o linee guide per il corretto sviluppo dell'intelligenza artificiale. Resta però il dubbio che tutto ciò possa essere un semplice tentativo di quello che è stato definito AI-etichs washing: stratagemmi e nulla più per pulirsi la coscienza o, più probabilmente, darsi un'immagine più rispettabile di fronte all'opinione pubblica. “La comunità tecnologica non può più negare che la scarsa attenzione verso i risvolti etici dello sviluppo dell'intelligenza artificiale sia un problema: è necessario affrontarlo il prima possibile in ogni modello di ricerca e sviluppo”, ha commentato Karen Hao, senior reporter dell'Mit Technology Review.

LA CHIAVE DELLA CONDIVISIONE
Anche perché, se non ci penserà il mercato, è probabile che ci penseranno le autorità regolamentari. Se n'è avuto prova negli ultimi anni, con la forte attenzione posta sulla necessità di tutelare i dati personali degli utenti. I dati costituiscono il carburante principale di qualsiasi software di intelligenza artificiale: è solo analizzando grandi quantità di informazioni che gli algoritmi possono migliorare i propri processi di analisi e fornire risultati più accurati. Scandali come quello di Cambridge Analytica hanno tuttavia fatto comprendere come siano necessarie regole chiare per evitare che l'intelligenza artificiale possa essere utilizzata con modalità e fini deleteri per l'intera comunità.
Il bisogno di dati resta dunque elevato per le imprese che intendono sfruttare l'intelligenza artificiale per efficientare i propri processi di business e migliorare i servizi alla clientela. Il 48% degli intervistati pone così la disponibilità di dati come la principale sfida del settore, tema a cui si legano anche le difficoltà di integrare informazioni non strutturate e di interagire con piattaforme open data. Ecco perché il 66% del campione si è detto disponibile a condividere esternamente i propri dati per sostenere lo sviluppo di beni o servizi basati sull'intelligenza artificiale. L'industria manifatturiera, le imprese di beni di consumo, la vendita al dettaglio e il settore sanitario prevedono, a tal proposito, grandi benefici in materia di supply chain e di riduzione del time to market. Il settore dei servizi finanziari vede invece opportunità per quanto riguarda servizio alla clientela, sicurezza informatica e anti-frode. La strada, a detta degli intervistati, resta dunque ancora lunga: serviranno norme più chiare in materia di privacy (64%) o standard di mercato comunemente accettati (58%) prima che la condivisione di dati possa dare la spinta definitiva allo sviluppo dell'intelligenza artificiale.