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Crescono gli smart workers italiani

Lo smart working è una realtà nel 58% delle grandi imprese. Aumenta tra le Pmi e raddoppiano i progetti delle PA, anche se con difficoltà. Gli smart worker sono i lavoratori più soddisfatti del proprio lavoro

Lo smart working piace e diventa una realtà consolidata anche nel nostro Paese: i lavoratori italiani che ne approfittano sono oltre 570mila. Un aumento del 20% rispetto allo scorso anno, anche se le previsioni date dalle dichiarazioni di intenzione delle aziende di attivarlo a breve segnano un rallentamento. Anche nelle Pmi cominciano ad introdurlo con più convinzione ma a ritmi di crescita più contenuti. Un discorso a parte merita invece la Pubblica Amministrazione i cui dati sembrano andare nella direzione di un adempimento normativo obbligato più che voluto. Eppure lo smark working è sempre più gradito tra i lavoratori e serve ad attrarre i migliori talenti. È questa la fotografia in sintesi della ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico, presentata a Milano in occasione del convegno “Smart Working davvero: la flessibilità non basta”.

Le grandi imprese ci credono
Nel 2019 la percentuale di grandi imprese che hanno avviato al proprio interno progetti di smart working è del 58%, in lieve crescita rispetto al 56% del 2018. A queste percentuali vanno aggiunte un 7% di imprese che hanno già attivato iniziative informali e un 5% che prevede di farlo nei prossimi dodici mesi. Del restante 30%, il 22% dichiara probabile l’introduzione futura e soltanto l’8% non sa se lo introdurrà o non manifesta alcun interesse.
A fronte di questa crescita modesta, c’è da registrare un aumento di maturità delle iniziative, che abbandonano lo stato di sperimentazione e vengono estese ad un maggior numero di lavoratori: circa metà dei progetti analizzati è già a regime e la popolazione aziendale media coinvolta passa dal 32% al 48%.

Le Pmi si dividono: chi ci crede e chi no

I dati rivelano che tra le Pmi c’è un aumento della diffusione dello smart working: i progetti strutturati passano dall’8% dello scorso anno al 12% attuale, quelli informali dal 16% al 18%, ma aumenta in modo preoccupante anche la percentuale di imprese disinteressate al tema (dal 38% al 51%).
Le motivazioni che guidano l’attivazione dei progetti sono soprattutto il miglioramento del benessere organizzativo, indicato da un’impresa su due, e il miglioramento dei processi aziendali (26%). Fra le ragioni che invece inducono il 51% delle Pmi a non mostrare interesse spiccano la difficoltà di applicare questo modello alla propria realtà (68%) e la resistenza dei capi (23%).

Nelle PA puro adempimento normativo
È tra Pubbliche amministrazioni che si registra la crescita più significativa: in un anno nel settore pubblico raddoppiano i progetti strutturati di smart working (passando dall’8% al 16%), il 7% delle PA ha attivato iniziative informali (l’1% del 2018), il 6% le avvierà nei prossimi dodici mesi. Le più avanzate sono le PA di grandi dimensioni, che nel 42% dei casi hanno già introdotto iniziative strutturate e nel 7% hanno attivato iniziative informali.
Nonostante questi dati incoraggianti, il ritardo resta evidente, con quasi 4 PA su 10 che non hanno progetti di smart working e sono incerte (31%) o addirittura disinteressate (7%) rispetto alla sua introduzione.

“I dati sembrano testimoniare, - si legge nel rapporto - come, pur essendosi finalmente attivate, molte PA abbiano seguito un approccio di mero adempimento normativo, poiché coinvolgono mediamente il 12% della popolazione dell’amministrazione, vicina al 10% che la direttiva Madia definiva come limite inferiore all’adozione”.
Le barriere indicate dalle PA sono la percezione che non sia applicabile alla propria realtà (43%), la mancanza di consapevolezza dei benefici ottenibili (27%) e la presenza di attività poco digitalizzate, vincolata all’utilizzo di documenti cartacei e alla tecnologia inadeguata (21%).

Gli smart worker sono più soddisfatti e "ingaggiati"
Dai risultati della ricerca del Politecnico emerge che i lavoratori smart sono mediamente più soddisfatti dei colleghi che lavorano in modalità tradizionale in diversi aspetti del lavoro. Soprattutto, gli smart worker sono più soddisfatti dell’organizzazione del proprio lavoro (il 31% degli smart worker contro il 19% degli altri lavoratori), ma anche delle relazioni fra colleghi (il 31% contro il 23% degli altri) e della relazione con i loro superiori (il 25% contro il 19% degli altri).
 Inoltre, lo smart working migliora l’engagement dei dipendenti. Gli smart worker sono più soddisfatti del proprio lavoro (76% rispetto al 55% degli altri lavoratori), più orgogliosi dei risultati dell’organizzazione in cui lavorano (71% rispetto al 62%) e desiderano restare più a lungo in azienda (71% rispetto al 56%). Considerando tutti gli elementi che caratterizzano l’engagement, gli smart worker che si sentono pienamente “ingaggiati” sono il 33%, rispetto al 21% degli altri lavoratori. I lavoratori agili sono anche più capaci di responsabilizzazione rispetto agli obiettivi aziendali e personali, di flessibilità nell’organizzare le attività lavorative e di bilanciare l’uso delle tecnologie digitali con gli strumenti tradizionali di collaborazione, la cosiddetta “attitudine smart”, che varia dal 17% dei lavoratori tradizionali al 35% di quelli smart).