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Cloud, il Pentagono sceglie Microsoft

Il colosso fondato da Bill Gates si è aggiudicato a sorpresa la commessa da dieci miliardi di dollari per la realizzazione del progetto Jedi, programma promosso dal dipartimento della Difesa statunitense per trasferire dati e informazioni sulla nuvola

Microsoft fornirà servizi in cloud al Pentagono per i prossimi dieci anni. Il colosso fondato da Bill Gates si è infatti aggiudicato il bando per la realizzazione del progetto Jedi, programma promosso dal dipartimento della Difesa statunitense per spostare sulla nuvola dati e informazioni vitali per la sicurezza a stelle e strisce. Il progetto scadrà il 24 novembre 2029 e prevede lo stanziamento di dieci miliardi di dollari per la società di Redmond.
Con la commessa appena ricevuta, Microsoft potrà investire ulteriormente nello sviluppo di una tecnologia (il cloud, appunto) che sta diventando sempre più centrale nelle strategie di business della società. A luglio, la divisione dedicata al cloud computing ha spinto ben oltre le attese degli analisti i risultati del gigante dell’informatica nel quarto trimestre fiscale: Azure, Windows Server, Sql Server, Visual Studio e GitHub hanno totalizzato complessivamente entrate per 11,39 miliardi di dollari, mettendo a segno un balzo del 19%.

Un risultato inaspettato
Il risultato è arrivato un po’ a sorpresa. Vincitrice in pectore della commessa, almeno fino all’annuncio del dipartimento della Difesa, era infatti Amazon Web Services, divisione dell’impero di Jeff Bezos che fornisce servizi in cloud a società del calibro di Netflix, Airbnb, Dropbox, Slack e General Electric. Secondo alcune stime, la società controllerebbe più della metà del mercato statunitense del cloud computing. E avrebbe assunto negli anni un peso fondamentale nelle logiche di business di Amazon: nel 2018 le entrate della società si sono attestate a 25 miliardi di dollari, arrivando a coprire il 13% del giro d’affari complessivo del gigante del web.
Il risultato sembrava insomma già scritto. La società di servizi informatici Oracle, che aveva partecipato alla competizione, si era spinta addirittura più in là, arrivando a dire che i termini del bando era stati scritti proprio per far vincere la società di Amazon. Il colosso di Seattle non ha nascosto il suo disappunto. “Amazon Web Service è chiaramente leader nel mercato del cloud computing”, ha fatto sapere la società in una nota. “Una valutazione dettagliata e comparativa delle semplici offerte – prosegue il comunicato stampa – porta chiaramente a una conclusione diversa”.

Uno schiaffo a Jeff Bezos
Secondo molti, la vittoria di Microsoft altro non sarebbe se non l’ennesimo capitolo della guerra a distanza fra Jeff Bezos e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Il tycoon atterrato alla Casa Bianca, com’è noto, non infatti ama il fondatore di Amazon. E non perde occasione per criticare il colosso dell’e-commerce su tasse e condizioni di lavoro dei suoi dipendenti. La tensione fra i due si è recentemente intrecciata anche alla guerra aperta che il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato ad autorevoli organi di stampa, colpevoli (a detta sua) di trasmettere un’immagine distorta e negativa della sua amministrazione. Al centro dello scontro ci sono soprattutto le recenti rivelazioni sulle pressioni che Donald Trump avrebbe esercitato sul presidente dell’Ucraina affinché avviasse un’indagine su Hunter Biden, figlio di Joe Biden, ex vice presidente degli Stati Uniti e probabile avversario di Donald Trump per la corsa alla Casa Bianca del 2020. Fra gli autori dello scoop c’è anche il Washington Post, autorevole testata statunitense che è stata rilevata nel 2013 da Jeff Bezos. Nei giorni scorsi, sulla base di queste rivelazioni, la camera dei rappresentanti del Congresso statunitense ha approvato l’avvio di una procedura di impeachment contro Donald Trump. E il Commander-in-Chief ha ordinato all’intera amministrazione federale di non rinnovare l’abbonamento al Washington Post.
Poste queste basi, viene quasi naturale pensare che anche nell’esito del bando possa esserci lo zampino di Donald Trump. Una conferma, in questa direzione, arriva da alcune anticipazioni del volume di prossima uscita Holding The Line: Inside Trump’s Pentagon with Secretary Mattis di Guy Snodgrass, speech-writer dell’ex segretario della Difesa Jim Mattis: nell’estate del 2018 Trump avrebbe chiesto a Mattis di escludere Amazon dal bando.

I dipendenti protestano
Amazon non ha escluso di poter avviare azioni legali contro le presunte interferenze di Donald Trump. Prima ancora che dall’esterno, Microsoft dovrà tuttavia guardarsi dalle minacce che arrivano dal suo interno. Nell’ottobre del 2018, infatti, i dipendenti dell’azienda hanno pubblicato su Medium una lettera aperta per chiedere al management (letteralmente) di “non presentare offerte per il progetto Jedi”. Molti dipendenti di Microsoft, si legge nel post, “non credono che quello che facciamo debba essere utilizzato per innescare guerre. Quando abbiamo deciso di lavorare per Microsoft – proseguono gli autori – lo abbiamo fatto nella speranza di ‘fornire a ogni persona sul pianeta gli strumenti per migliorarsi’ (mission ufficiale di Microsoft, ndr), non con l’intento di porre fine a vite umane e incrementare la letalità”.
Difficile dire come risponderanno ora i dipendenti del colosso dell’informatica al fatto che non solo Microsoft ha presentato la sua offerta, ma si è pure aggiudicata il bando. La protesta resta tuttavia sintomatica del crescente malessere che il personale delle big tech sta mostrando verso qualsiasi tipo di collaborazione con l’industria della difesa. Il caso di Google è probabilmente quello più emblematico: attraverso una serie di attività di pressione, il personale di Mountain View ha spinto la società a uscire dalla competizione per il progetto Jedi e a non rinnovare la collaborazione con il Pentagono sul progetto Maven, programma per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale sui droni da guerra. Nel giugno del 2018 Google ha inoltre presentato un codice etico sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale in cui si vieta il ricorso alla tecnologia per lo sviluppo di dispositivi bellici. “Quali sono i principi etici di Microsoft sull’intelligenza artificiale?”, si chiedono ora i suoi dipendenti. “Se Microsoft vuole essere responsabile per i prodotti e i servizi che offre – proseguono – abbiamo bisogno di linee guide chiare sull’etica e di un efficiente sistema di gestione che determini in quali casi l’uso della nostra tecnologia è accettabile e in quali no”.

L’etica della tecnologia in guerra
La questione etica dell’utilizzo di nuove tecnologie in ambito bellico sta diventando sempre più centrale. E ciò soprattutto in ragione dei crescenti investimenti che il dipartimento della Difesa statunitense (ma non solo) sta effettuando nella ricerca e nello sviluppo di nuove soluzioni militari. All’inizio dell’anno gli Stati Uniti hanno annunciato un enorme progetto per sfruttare le innovazioni tecnologiche in diversi ambiti, fra cui anche quello militare. Il budget proposto per il dipartimento della Difesa per il 2020 si attesta a 718 miliardi di dollari: ben 927 milioni sarebbero investiti in intelligenza artificiale e machine learning.
La nuova corsa agli armamenti sta contagiando un po’ tutti. La Cina si è posta l’obiettivo di imporsi come il leader mondiale nel campo dell’intelligenza artificiale. Il presidente russo Vladimir Putin, più prosaicamente, ha dichiarato in passato che “chiunque diventerà leader nel campo dell’intelligenza artificiale diventerà anche il padrone del mondo”.
Il traguardo appare insomma chiaro a tutti. Meno chiara è invece la strada da percorrere per raggiungerlo. Anche perché un’intelligenza artificiale pienamente funzionante in ambito bellico appare ancora di là da venire. A grandi potenzialità si associa infatti un livello di sofisticazione che, oltre a richiedere enormi investimenti, si sta rivelando facilmente aggirabile. Lo scorso marzo la cinese Tencent ha annunciato di aver hackerato una vettura di Tesla effettuando minime modifiche alla carreggiata. Più recentemente, in uno esperimento controllato del Mit di Boston, un dispositivo di intelligenza artificiale ha più volte scambiato l’immagine di una tartaruga per un fucile.
Viene naturale chiedersi cosa potrebbe accadere se dispositivi di tal genere, facilmente aggirabili e non ancora precisi come si vorrebbe, venissero posti in uno scenario di guerra con una dotazione militare. Ecco perché il dibattito sull’etica dell’innovazione tecnologica sta diventando sempre più centrale. Persino il Pentagono ha dovuto prendere posizione: qualche giorno fa il Defense Innovation Board, organo voluto dall’ex presidente Barack Obama per sostenere le attività del dipartimento della Difesa, ha approvato delle linee guida per gestire l’uso dell’intelligenza artificiale in ambito bellico. “È arrivato il momento di fissare regole serie sullo sviluppo e sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel contesto militare”, si legge nel rapporto. Ed è necessario farlo, prosegue il rapporto, “prima ancora che possa esserci incidenti”.