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I crediti insoluti minacciano l'imprenditoria

Le aziende hanno difficoltà a riscuotere il dovuto e a pagare fornitori e stipendi. A denunciarlo sono i commercialisti in un’indagine Censis, avvertendo che si sta minando la capacità di fare impresa. Per invertire il trend è necessario ricostruire la fiducia tra contribuenti e Stato

Nove commercialisti su dieci affermano che le imprese clienti hanno faticato a riscuotere i crediti nell’ultimo anno. Ritardando sia i pagamenti dei fornitori (88%) che i versamenti degli stipendi (55%). Dati preoccupanti emersi nell'indagine, il Barometro sull’andamento dell’economia italiana, realizzato dal Censis in collaborazione con il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e presentato a Roma.
Dallo studio - effettuato su un campione di 4mila commercialisti - emergono “importanti fattori di pressione” che gravano sulle microimprese nonostante queste abbiano garantito finora la tenuta sociale. A reggere meglio sono le famiglie le quali dimostrano “strategie più efficaci di galleggiamento”: solo il 36,2% dei commercialisti, infatti, afferma che i nuclei familiari clienti vivono una condizione molto o abbastanza negativa (dato che però sale al 46,4% al Sud) grazie a consumi più sobri e al ricorso al cash cautelativo.
Sul fronte aziendale, si conferma una forte polarizzazione tra piccole e grandi realtà, laddove le più sofferenti sono le imprese con un fatturato fino a 350mila euro l’anno (53,4%), mentre il sentiment negativo scende al 32,5% nel caso delle realtà di più grandi dimensioni.

Un quadro a tinte scure
In generale, la maggioranza dei commercialisti italiani è pessimista: per il 62% l’attuale situazione economica è molto o abbastanza negativa e addirittura peggiorata per il 44,6%, mentre solo l’11,7% la percepisce migliore. Il pessimismo prevale anche sul futuro visto che per il 48,8% il quadro economico rimarrà negativo nei prossimi 12 mesi, se non addirittura peggiorerà (38,7%) a causa delle difficoltà nel gestire un’impresa (54,7%), nei rapporti con il fisco (53,8%) e con le banche (60%). Ecco quindi che molti imprenditori sognano la fuga: il pensionamento per sè stessi e l’estero per i figli.
In particolare, secondo il 91% dei commercialisti, le aziende clienti hanno subìto ritardi nella riscossione dei crediti; l’87,7% afferma che le imprese, a loro volta, hanno posticipato i pagamenti dei fornitori e il 58,3% dei professionisti testimonia che le aziende clienti hanno versato in ritardo le retribuzioni dei dipendenti (il 51% nel Nord-Ovest e addirittura il 75,5% al Sud). Numeri che documentano un “cortocircuito fatto di crediti difficili da incassare e pagamenti rinviati”, ha spiegato il responsabile area politiche sociali del Censis, Francesco Maietta.
La Pubblica Amministrazione e il fisco contribuiscono alla spirale negativa: per il 60% dei commercialisti le aziende hanno subìto ritardi negli incassi dalla Pa (per il 30% l’attesa si è allungata); secondo il 52,6% sono aumentate le aziende che effettuano i versamenti al fisco, oltre la scadenza, mediante il ravvedimento operoso (il 54,7% nel caso delle microimprese) e il 47,7% afferma che è cresciuto il numero di imprese indebitate con l’erario (il 51,5% nel caso delle microimprese).
Per sopravvivere, cresce il ricorso al credito bancario: secondo il 38,9% dei commercialisti, infatti, sono aumentate le aziende clienti che hanno richiesto finanziamenti bancari di breve e di medio-lungo periodo (35%).

Lo Stato deve fare il primo passo
La parola d’ordine dunque, ha confermato il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii, è “evitare il più possibile questi disincentivi a fare impresa” e intervenire sulla fiducia senza la quale non possono esserci investimenti.
Sulla fiducia insiste anche Massimo Miani, presidente Consiglio nazionale dottori commercialisti e degli esperti contabili, che pone l’accento sul fatto che si sta minacciando la propensione all’imprenditorialità. Miani avverte che è necessario lavorare sulla ricostruzione della fiducia tra istituzioni e contribuenti e su questo, spiega, “il primo passo lo deve fare lo Stato per ottenere lo stesso rispetto dal cittadino”.
Commercialisti e ricercatori auspicano una forte attenzione della politica sulle importanti evidenze che emergono dal Barometro. “Non ci arrendiamo al mancato ascolto del governo”, ha aggiunto Miani, sottolineando l’impegno congiunto con la Confindustria nella redazione di proposte di semplificazione di cui c’è un disperato bisogno.