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Thomas Cook, un crack senza frontiere

Mancati pagamenti, hotel vuoti, danni stimati in centinaia di milioni di euro. Il fallimento del più grande tour operator britannico si abbatte come un missile su tutta la catena di fornitori: soprattutto in Spagna, ma anche in Italia

Il crack del tour operator britannico Thomas Cook è un esempio lampante di quanto possano essere disastrose le conseguenze di un fallimento di questo genere su tutta la supply chain. La crisi non danneggia infatti solo gli albergatori, ma genera effetti a cascata su fornitori, autobus turistici, agenzie di autonoleggio, bar, ristoranti e tutti gli altri servizi collegati. La bancarotta mette a rischio circa 22mila posti di lavoro nel mondo. Si è resa necessaria un’enorme operazione per rimpatriare le circa 500mila (150 mila i britannici) persone che sono in viaggio con i tour offerti dall’agenzia e con la compagnia aerea Thomas Cook Airlines, le cui attività sono state interrotte con effetto immediato e le cui prenotazioni sono state interamente cancellate. Il Financial Times l’ha definita “la più grande operazione di rimpatrio d’emergenza di sempre in tempi di pace”. L’operatore turistico britannico è stato messo in liquidazione per insolvenza, dopo che il governo di Boris Johnson ha detto no all’operazione di rifinanziamento da 150 milioni di sterline per salvare un'azienda nata nel 1841.

Spagna, alberghi chiusi e bollette non pagate
Il fallimento di Thomas Cook si è abbattuto come un missile sui Paesi di destinazione dei turisti Uk, tra cui l’Italia. Ma è in Spagna, tradizionalmente meta prediletta per le ferie dei sudditi di Sua Maestà, che si preannuncia “un impatto molto negativo”. Ad affermarlo in una nota è stato il ministro del turismo spagnolo Maria Reyes Maroto che ha confermato di essere in contatto con le catene alberghiere per parlare di strategie per affrontare le conseguenze della messa in liquidazione dell’azienda. Sopattutto, come ha spiegato Iago Negueruela, ministro regionale responsabile del turismo, “è un duro colpo per le isole” di Maiorca, Minorca, Ibiza e Formentera. Il crollo della compagnia britannica ha portato alla cancellazione di 46 voli in tutta la Spagna, secondo la società di gestione aeroportuale spagnola Aena. Si stima che circa 25mila a 30mila turisti in Spagna siano colpiti, principalmente dalla Gran Bretagna ma anche dalla Germania e da altri Paesi.
Centinaia di alberghi in Spagna si trovano ad affrontare una chiusura imminente. Secondo Juan Molas, capo della Confederazione spagnola di hotel e alloggi turistici, “ci sono 500 hotel che stanno per chiudere immediatamente a causa del fallimento di Thomas Cook e la situazione potrebbe peggiorare se il governo non prendesse provvedimenti immediati", ha spiegato al quotidiano Cinco Dias. L’importo delle bollette non pagate lasciato dalla scomparsa del tour operator sarebbe molto più elevato rispetto alla stima iniziale di 200 milioni di euro, ha aggiunto Molas, la cui organizzazione rappresenta 15mila imprese iberiche. “Sarà molto di più. L’importo per solo otto catene è sui 100 milioni di euro”, ha aggiunto. Degli hotel destinati alla chiusura immediata, 100 dipendevano esclusivamente da Thomas Cook, mentre gli altri contano sulla società britannica per una percentuale che va dal 30% e al 70% dei loro clienti. Ad esempio un albergo a Fuerteventura, il secondo hotel più grande delle Isole Canarie, aveva recentemente subito una ristrutturazione per 20 milioni di euro: ora le 700 camere della struttura resteranno vuote e 200 dipendenti potrebbero perdere il lavoro.

La situazione in Italia
Ma il crack di Thomas Cook, come accennato, colpisce anche l’Italia. Secondo le stime iniziali di Federalberghi, il danno potrebbe aggirarsi intorno ai 100 milioni di euro, ma rischia di salite potenzialmente a 300 milioni. In particolare, le strutture delle località turistiche che lavoravano con il tour operator britannico potrebbero perdere l’equivalente del 70% del giro di affari annuo. L’aspetto più problematico riguarda le tempistiche dei pagamenti: Thomas Cook, una volta ricevuti i soldi dai clienti al momento della prenotazione, li girava agli alberghi dopo 30 giorni e, allo stato attuale, gli ultimi saldi effettuati risalgono alla fine di agosto in riferimento al mese di luglio. I mesi di incassi mancati che, molto probabilmente a seguito del fallimento sarà difficile recuperare, potrebbero mettere in seria difficoltà le strutture più piccole o a conduzione familiare.
Tra le regioni più colpite quelle del sud Italia. Come ha spiegato Nico Torrisi, presidente di Federalberghi Sicilia, “molti alberghi, nell'isola, vantano crediti di centinaia di migliaia di euro nei confronti del tour operator che ha chiuso i battenti dopo quasi 200 anni di servizio. In attesa di sviluppi che speriamo siano positivi ci permettiamo di suggerire ai nostri associati di informare i turisti in arrivo con prenotazioni Thomas Cook, che dovranno comunque saldare il conto in albergo per poi rivalersi con le autorità inglesi”. Secondo il presidente di Assoturismo Confesercenti, Vittorio Messina, il fallimento improvviso di una realtà globale come Thomas Cook non può che avere un forte impatto sul comparto turistico italiano. Sono migliaia gli operatori in Italia che hanno ricevuto un danno, e che si trovano nella difficile situazione di dover recuperare i crediti vantati presso il gruppo inglese e non ancora incassati, a volte decine di migliaia di euro per singola impresa”.
Ovviamente sono moltissimi i Paesi coinvolti nel crack del tour operator. In Bulgaria, ad esempio, gli imprenditori della località balneare di Sunny Beach si aspettano perdite per 35 milioni di euro. In Grecia, la confederazione del turismo Sete prevede un impatto complessivo che oscilla tra i 250 e i 500 milioni di euro: qui il turismo rappresenta quasi un terzo del Pil e i clienti di Thomas Cook rappresentavano l’8,5% del totale dei visitatori nel 2018. Stesso discorso per la Tunisia, dove la società non onora debiti per 65 milioni di euro: qui il 5% dei turisti europei in visita aveva prenotato con Thomas Cook.