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Deforestazione, dagli incendi alle soluzioni possibili

Dal 1° gennaio fino al 19 agosto i roghi dolosi in Brasile sono aumentati dell’83% rispetto allo scorso anno. Fermare piromani e speculatori non basta: uno studio del Politecnico di Zurigo spiega in che modo è possibile mettere in pratica una riforestazione efficace

Il polmone naturale del Pianeta. Viene definita così l’Amazzonia, che in quest’ultimo mese è stata vittima di decine di roghi dolosi. La deforestazione della foresta, tuttavia, in realtà non si è mai arrestata. Ma in questa fase la rapidità e la spavalderia con cui vengono innescati gli incendi sembra intensificarsi. Non aiuta la scarsa sensibilità in tema ambientale del nuovo presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, che si è sempre mostrato molto più ricettivo nei confronti delle necessità dell’industria agroalimentare brasiliana, sempre affamata di nuove terre da sfruttare.
L’Istituto nazionale di ricerche spaziali del Brasile (Inpa) ha mostrato che dal primo gennaio fino al 19 agosto gli incendi in Brasile sono aumentati dell’83% rispetto allo stesso periodo nel 2018. Nello stesso periodo sono circa 73mila i roghi registrati nel Paese di cui il 52% proprio in Amazzonia. L’uso del fuoco è direttamente collegato alla deforestazione, perché è una delle tecniche utilizzate per creare nuovi spazi per coltivazioni, allevamenti e miniere.

Una foresta che produce il 20% dell’ossigeno del pianeta
L’alzata di scudi mondiale in difesa dell’immensa foresta pluviale latinoamericana non è dunque esagerata. Le foreste pluviali svolgono un ruolo fondamentale di contrasto al riscaldamento globale e senza la loro presenza rischiamo di perdere fra il 17 e il 20% di risorse di acqua per il Pianeta. Sarebbe come se 6,7 milioni di km quadrati di territori boschivi, e il 20% della produzione di ossigeno della Terra sparissero da un momento all’altro. A questo si aggiunge il rischio della perdita di habitat per 34 milioni di persone e del 10% di tutta la biodiversità mondiale. Inoltre, come spiega Isabella Pratesi, direttore conservazione del Wwf Italia, il saccheggio dell’Amazzonia ha anche un drammatico risvolto sociale. “La deforestazione è infatti accompagnata da un drammatico aumento delle violenze verso le popolazioni indigene che vivono in quei territori. Cacciate dalle loro foreste – spiega – assassinate e torturate per il commercio di legna, miniere d’oro, pascoli e coltivazioni, le tribù amazzoniche sono le prime vittime di un efferato crimine contro l’umanità e il pianeta rispetto al quale i nostri occhi e le nostre orecchie rimangono sigillati”. Il Wwf sottolinea che l’area deforestata dell’Amazzonia corrisponde a una superficie di 2.254 chilometri quadrati, pari a oltre un terzo di tutto il volume disboscato negli ultimi 12 mesi, tra agosto 2018 e luglio 2019, periodo in cui il totale della deforestazione ha raggiunto i 6.833 chilometri quadrati con un aumento, registrato proprio nel mese di luglio, del 278% rispetto allo stesso periodo negli anni precedenti.

Una riforestazione possibile
Gli esperti sostengono da tempo che la deforestazione massiccia praticata negli ultimi decenni sia una delle cause principali del cambiamento climatico. Uno studio scientifico, pubblicato sulla rivista Science, spiega come agire favorevolmente sull’intera questione climatica attraverso la riforestazione. Il Crowther Lab, un gruppo di ricerca interdisciplinare del Politecnico di Zurigo è riuscito a fornire una valutazione quantitativa della riforestazione, stabilendo anche su quali specifiche zone del pianeta ci si dovrebbe concentrare maggiormente al fine di ottenere una frenata sostanziale del cambiamento climatico. Tom Crowther, uno degli autori senior dello studio, sostiene che la riforestazione è, da ogni punto di vista, la soluzione migliore per contrastare il riscaldamento globale e attuandola adesso, nell’arco di pochi decenni, la quantità di anidride carbonica presente nell’atmosfera tornerebbe ai livelli del secolo scorso, riducendosi di circa il 25%. Secondo il gruppo di scienziati, in questo modo non si toglierebbe spazio né alle zone degli insediamenti antropici (intese sia come aree urbane che destinate all’allevamento) né alle coltivazioni agricole; si potrebbe quindi aumentare di un terzo la superficie boschiva rispetto a quella attuale estendendola per oltre 9 milioni di km quadrati. La riforestazione dovrebbe ampliare le foreste su 1,8 miliardi di ettari di terreno con un aumento della canopia (la parte più alta degli alberi) di 0,9 miliardi di ettari: la nuova superficie boschiva andrebbe a immagazzinare ben 205 gigatonnellate, ovvero i due terzi del totale prodotto dalle attività dell’uomo, producendo benefici enormi.
Lo studio, oltre a suscitare un grande interesse, è stato anche criticato per non aver preso in considerazione le altre tecniche per la cattura del carbonio (come la crescita di alghe negli oceani o l’utilizzo di macchine per estrarlo direttamente dall’atmosfera), a oggi molto discusse, perché secondo il Crowther Lab sarebbero meno ecosostenibili e più costose rispetto alla riforestazione, che contribuirebbe inoltre a proteggere la biodiversità, che tanta parte ha nella tutela complessiva del nostro pianeta. Ad ogni modo, nonostante alcune differenze di vedute, la comunità scientifica ha salutato in maniera positiva questo progetto di “riforestazione intelligente”, sollecitando una pronta risposta da parte di governi e istituzioni.