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Demografia ed economia: l'Italia ristagna

Pochi nati nel 2018, mai così male dal 1917, e tra poco tutti i babyboomer andranno in pensione. Solo gli stranieri e le seconde e terze generazioni tengono a galla un Paese in affanno demografico. E intanto i giovani in età da lavoro (se qualificati) se ne vanno

Il problema dell’economia è (anche) una questione di demografia e l’Italia non se la sta cavando bene. Secondo l’Istat, che ha presentato il report annuale dell’istituto, l’Italia sta vivendo il peggior momento demografico degli ultimi 100 anni, cioè dai tempi della Grande Guerra: nel 2018 sono nati 439mila bambini, quasi 140mila in meno rispetto al 2008, anno che è stato vero e proprio spartiacque della demografia europea. I decessi sono invece aumentati, 633 mila, 50 mila in più rispetto al primo anno della crisi. Insomma mai cosi male dal 1917. Nel 1964, in Italia nascevano più di un milione di bambini, ma quella era l’epoca d’oro dei baby boomer. 

I cambiamenti demografici, però sono anche frutto, a partire dal 2015, di una perdita di residenti, cioè emigrazione, gente che se ne va. “In assenza di significative misure di contrasto – ha sottolineato Gian Carlo Blangiardo, presidente di Istat – si potrebbero determinare ricadute negative sul potenziale di crescita economica, con impatti rilevanti sull’organizzazione dei processi produttivi e sulla struttura e la qualità del capitale umano disponibile”.


La fuga dei 20-34enni e il calo delle nascite 

Tra il 2008 e il 2017, il saldo tra cittadini italiani tra i 20 e 34 anni con livello di studio medio-alto emigrati all’estero e immigrati con le stesse caratteristiche è negativo. Sono 24 mila quelli usciti dalla Lombardia, 13 mila dalla Sicilia, 12 mila dal Veneto. Negli ultimi dieci anni la perdita netta è stata di circa 420 mila residenti italiani e ben 208 mila erano giovani dai 20 ai 34 anni. Comunque, la crescita della popolazione italiana degli ultimi vent’anni è avvenuta unicamente grazie all’aumento dei cittadini stranieri o di origine straniera: al primo gennaio 2019, questa comunità contava circa cinque milioni e 234 mila residenti, pari all’8,7% della popolazione. 

 In generale, in Italia si fanno meno figli. La diminuzione della popolazione femminile tra i 15 e i 49 anni tra il 2008 e il 2017 è stata circa di 900 mila unità, e questo, dice Istat, basta a spiegare i tre quarti del calo delle nascite in quel periodo. Nel 2008, la quota di figli per donna in Italia era già bassa, 1,45, ma nel 2017 è crollata a 1,32. “La diminuzione delle nascite – spiega l’Istat – è attribuibile prevalentemente al calo dei nati da coppie di genitori entrambi italiani, che scendono a 359 mila nel 2017 (oltre 121 mila in meno rispetto al 2008)”. 


Nel 2050 saremo molti meno 

Ma anche negli altri Paesi europei, la tendenza è verso il segno meno. Persino in Francia, Paese che poteva vantare una natalità superiore ai due figli per donna, nel 2018 il dato era sceso a 1,87. Segue la Svezia, a 1,75 dall’1,91 del 2008; la Gran Bretagna (1,76, record negativo degli ultimi 10 anni). La Spagna, che partiva da 1,44 nel 2008, oggi è a 1,25 figli per donna. Mal comune mezzo gaudio? Non proprio, perché il dato dell’Italia è aggravato da un calo delle nascite che dura da molti più anni rispetto agli altri Paesi e dai pesanti flussi migratori in uscita. 

In questo contesto, il livello d’invecchiamento, e quindi di persone che non producono più reddito, è tra i più alti del mondo. Sono 165 le persone di oltre i 65 anni ogni 100 giovani con meno di 15 anni in l’Italia, mentre sono 210 in Giappone. La popolazione residente nel nostro Paese nel 2050 risulterà inferiore a quella odierna, scendendo da 60,4 milioni del primo gennaio 2019 ai 60,3 milioni nel 2030. Negli anni successivi, scrive Istat, il calo sarà più accentuato, fino ad arrivare a 58,2 milioni nel 2050, con una perdita complessiva di 2,2 milioni di residenti rispetto a oggi.


Le incertezze per la crescita nel breve periodo 

Ma l’istituto di statistica ha anche guardato al breve termine, riaggiornando i propri giudizi sulla crescita. L’indicatore anticipatore indica il proseguimento della fase di debolezza: la probabilità di contrazione del Pil nel secondo trimestre è relativamente elevata, scrive Istat. L’Istituto prevedeva un aumento del Pil dello 0,3% per l’anno in corso ma ora potrebbe esserci un ulteriore rallentamento della crescita. 

Solo i consumi privati sosterrebbero lo sviluppo, mentre la decelerazione delle esportazioni e delle importazioni, la prima legata soprattutto a fattori internazionali, sarà determinante. Tuttavia, l’Istat non taglia (ancora) la stima di fine anno poiché, secondo il presidente Blangiardo, nella seconda parte dell’anno, ci sono le condizioni per una discreta tenuta dell’economia.