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L'Italia e la ripresa che non c'è

Il rapporto annuale Censis dipinge un Paese scoraggiato che non percepisce il cambiamento, non crede nell'Europa e teme lo straniero. Il sistema sociale chiede stabilità e una visione concreta del futuro. Che deve partire dalla riduzione delle disuguaglianze

Gli italiani, un popolo di delusi. La mancata ripresa e l'incompiuto cambiamento stanno causando un mood di generale scarsa fiducia nel futuro, ma anche di sospetto verso lo stranieto. Secondo il 52° rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, presentato a Roma, il 75% ritiene che gli immigrati aumentino la criminalità, il 63% considera in modo negativo l'immigrazione dei Paesi non comunitari e il 52% è convinto che si faccia di più per gli stranieri che per gli italiani. Cresce, dunque, un radicale bisogno di sicurezza in un Paese dove il 59% dei cittadini prevede che non avverrà un'integrazione tra le etnie.
In linea generale, l'Italia è la nazione europea con la più bassa quota di cittadini che affermano di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei propri genitori (il 23%, contro una media europea del 30%). Il 56,3% pensa che le cose non siano cambiate veramente, il 67% guarda al futuro con paura, delusione e incertezza e solo un terzo si dice ottimista. Del resto, il potere d'acquisto delle famiglie è diminuito del 6,3%, rispetto al 2008 e i giovani laureati occupati sono diminuiti da 249 ogni 100 lavoratori anziani a 143. E anche sull'Europa, il sentimento generale non è migliore: solo il 43% degli italiani pensa che far parte dell'Ue abbia giovato all'Italia, contro una media europea del 68%.

Lavoro, capitale umano, disuguaglianze

Per risollevare le sorti dal Paese è necessario ripartire dal lavoro: il salario medio annuo italiano è aumentato, dal 2000 al 2017, di appena l'1,4% contro il 13% della Germania; gli occupati con età compresa tra 25 e 34 anni si sono ridotti, tra il 2007 e il 2017, del 27,3%, mentre gli occupati tra i 55 e i 64 anni sono aumentati del 72,8%.
Di pari passo deve andare la preparazione del capitale umano visto che l'Italia investe in istruzione e formazione solo il 3,9% del Pil, contro il 4,4% dell'Ue; inoltre, tra il 2014 e il 2017, i laureati italiani di 30-34 anni sono passati dal 23,9% al 26,9%, mentre la media Ue è salita dal 37,9% al 39,9% (+13%).
Infine, cruciale è la riduzione delle disuguaglianze territoriali. A fine 2017, l'Italia era ancora 4 punti sotto il valore del Pil del 2008, ma con regioni in pieno recupero (-1,3% la Lombardia e -1,5% l'Emilia Romagna) e altre in forte arretramento: -5,0% il Lazio, -6,2% il Piemonte, -7,9% la Campania, -10,3% la Sicilia, -10,7% la Liguria.

Un ecosistema di attori individuali
Ciò che emerge dall'indagine, sottolinea Giorgio De Rita, segretario generale Censis, è che stiamo passando da “un'economia dei sistemi verso un ecosistema degli attori individuali”, in cui ognuno afferma un proprio paniere di diritti e dove convivono interessi diversi e contrapposti”.
Il popolo attribuisce le cause della diseguaglianza alla non-sovranità nazionale e il sistema sociale chiede stabilità e una visione concreta del futuro. Per garantire ciò, è necessario prendere coscienza che lo sviluppo italiano continua ad essere diffuso e diseguale: “se non comprendiamo le diversità – conclude De Rita - non riusciremo a capire il nostro posto nei nostri ecosistemi e non riusciremo a guardare più in alto e dare un senso del futuro”.