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Credito bancario, per le imprese nessuna emergenza

L’Abi decide di fare chiarezza sulla presunta riduzione dei prestiti alle imprese. Un confronto tra i dati di mercato porta a una sorprendente conclusione: la disponibilità di finanziamenti risulta maggiore rispetto al periodo pre-crisi

Banche e imprenditoria, un rapporto complesso e spesso conflittuale. È largamente diffusa la convinzione che gli istituti di credito abbiano chiuso i rubinetti del credito, creando enormi difficoltà agli imprenditori. Una conclusione affrettata che, secondo l’Associazione bancaria italiana, deriva dall’esclusiva osservazione dell’andamento del volume del credito nel tempo. Una corretta analisi deve invece tenere conto della dinamica dell’economia, dell’evoluzione demografica ciclica del settore industriale e della cessione dei crediti deteriorati (Npl). È quanto ha fatto l’Abi nel numero di agosto della collana di ricerche Temi di economia e finanza.


Il tessuto economico è cambiato

Lo studio sottolinea che il decennio di crisi ha portato a una notevole riduzione delle imprese attive, con conseguente logica riduzione di domanda di credito bancario, senza che questa implichi una responsabilità del settore finanziario. Tra il 2009 e il 2017, il tessuto economico italiano è stato segnato da un calo di 110.000 imprese, con impatti notevoli sull’agricoltura (-14% e 124.000 imprese), costruzioni e industria in senso stretto (-10%, rispettivamente 84.000 e 55.000 società attive in meno); unico settore a crescere numericamente è quello dei servizi, con 152.000 iscrizioni in più (+5%). Il secondo elemento preso in considerazione dall’Abi è l’analisi comparata del rapporto credito bancario/valore aggiunto, in seguito alla ricomposizione settoriale descritta. Infatti, le imprese che operano in settori diversi, a parità di valore aggiunto, necessitano di input di credito differenti. Per questo, sottolinea l’Abi, negli ultimi anni è cresciuto il ruolo di imprese che necessitano strutturalmente meno del sostegno delle banche. Questo vuol dire che il credito bancario si è ridotto, nonostante le banche abbiano mantenuto lo stesso comportamento.


Il ruolo dei crediti deteriorati

Oltre al fattore settoriale e demografico, l’Abi ha posto attenzione sul fattore contabile costituito dal volume di crediti deteriorati ceduti a terzi. Da questo punto di vista si sta registrando un miglioramento della qualità degli attivi di molte banche, attraverso rilevanti operazioni di cessione degli stock. Si tratta di operazioni che incidono direttamente sui bilanci: la cancellazione degli Npl comporta una riduzione degli stock di impieghi, senza tuttavia che questo si traduca in un calo della quantità di credito disponibile per l’economia. L’analisi fornita dall’Abi dimostra che tra il 2007 e il 2017, correggendo i dati per le cessioni degli Npl, lo stock di credito risulta persino aumentato di sei punti percentuali. Per questo, la disponibilità di credito alle imprese italiane, espressa in rapporto al valore prodotto dalle imprese, risulta maggiore oggi, rispetto alla fase pre-crisi.


Imprese più solide

Lo studio focalizza l’attenzione anche sulle condizioni finanziarie e di redditività delle imprese, che appaiono “significativamente migliorate” dall’inizio della crisi a oggi. L’andamento di redditività, investimenti, indebitamente in percentuale del valore aggiunto conferma che, a partire dal 2013, le imprese europee hanno aumentato gli sforzi di investimento, che associato a un livello della redditività ai massimi, comporta una riduzione di finanziamenti esterni. Quanto all’Italia, nei primi sei mesi del 2017, le imprese si trovavano in una posizione di accreditamento netto, sui valori massimi dal 1999; la redditività è tornata al punto di pareggio, dopo 11 anni consecutivi di perdite. Tuttavia, rispetto al quadro europeo, gli investimenti delle imprese italiane persistono su valori negativi per due punti percentuali del valore aggiunto.