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Fake news: stretta dell’Unione Europea

Verso un codice di condotta per social network e motori di ricerca: in assenza di miglioramenti, a dicembre potrebbero scattare obblighi normativi. Nel mezzo, annunciati aiuti economici al giornalismo di qualità e una piattaforma indipendente di fact-checking

Anche l’Unione Europea va alla guerra delle fake news. E vara un’attesa strategia contro la disinformazione online. Nel mirino finiscono piattaforme come Facebook, il popolare social network salito alla ribalta delle cronache internazionali per il recente scandalo di Cambridge Analytica. Lo sguardo è già fissato alle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo che si terranno nel maggio del prossimo anno: l’obiettivo, scontato, è evitare che anche questa tornata elettorale possa essere macchiata dagli stessi sospetti che hanno già toccato il referendum sulla Brexit e l’elezione di Donald Trump. “Le fake news sono una minaccia alla coesione e alla stabilità della nostra società e delle nostre istituzioni democratiche”, ha osservato Julian King, commissario europeo per l’unione della sicurezza, nel presentare le misure annunciate dalla Commissione Europea.

Verso un codice di condotta
“Frenare questa minaccia è responsabilità di tutti, specialmente di quelle piattaforme che fanno soldi sulle nostre vite online”, ha aggiunto King. E proprio a loro, a social network e motori di ricerca, è rivolto il primo punto della strategia europea contro le fake news: un forum di confronto in cui dovrebbero essere coinvolti tutti gli stakeholder del settore, piattaforme online, agenzie pubblicitarie, mass media ed esponenti della società civile. Un momento di dibattito e approfondimento da cui, nelle intenzioni della Commissione Europea, dovrebbe scaturire un codice di condotta idoneo a prevenire la diffusione delle fake news online. I punti caldi sono tanti: dalla trasparenza alla tracciabilità delle notizie, passando per la diversificazione delle fonti, per il fenomeno del click bait e per la lotta a bot e account fasulli.
Il documento dovrebbe vedere la luce il prossimo luglio: non sarà vincolante, e neppure avrà valore giuridico. La Commissione Europea lascerà posto a una sorta di autoregolamentazione, salvo poi verificare se le indicazioni emerse, a cui le piattaforme potranno aderire su base volontaria, avranno portato all’effetto desiderato. In caso contrario, ha detto King, “considereremo nuovamente le nostre opzioni”. Detto altrimenti: se il codice di condotta non funziona, arriveranno obblighi legislativi.

Fact-checker e giornalismo di qualità
L’80% dei cittadini europei vede nelle fake news un problema per la democrazia. Eppure, nonostante l’allerta sia alta, solo raramente si riesce a passare dalle parole ai fatti. E così la consapevolezza resta bassa: il 60% della popolazione europea non sa che gli algoritmi dei social network influenzano la comparsa e la distribuzione delle notizie, un altro 50% ignora che inserire informazioni personali su Internet può favorire la targetizzazione della pubblicità online. Ecco perché la Commissione Europea, a margine del già citato codice di condotta, ha annunciato una serie di iniziative per favorire una maggiore cultura del web.
Si parte con la creazione di una piattaforma indipendente di fact-checking, che sarà chiamata a stabilire flussi di lavoro comuni e condividere buone pratiche per la verifica delle bufale online su tutto il territorio europeo. E si arriva a un bando comunitario che, annunciato per la fine di quest’anno, fornirà sostegno economico al giornalismo d’inchiesta e di qualità. La Commissione Europea, a tal proposito, ha caldeggiato l’adozione di analoghe misure anche fra i singoli Stati membri, fornendo così risposte credibili ai crescenti fallimenti di mercato che stanno danneggiando la sostenibilità e la qualità del giornalismo.

Nessuna censura
Per il commissario King, quella delle fake news è “una sorta di guerra”. Un termine non casuale, visto che spesso, ha aggiunto, dietro le bufale online ci sono “attori stranieri” che possono generare “serie ripercussioni sulla nostra sicurezza”. È il caso della Russia, paese citato esplicitamente dal commissario King per spiegare il concetto di information warfare. E che la Commissione Europea pare intenzionata a fronteggiare in questo particolare scenario bellico.
Resta tuttavia un fatto: chi stabilirà qual è un’informazione corretta? E non si rischia così di incappare in una sorta di censura? Per King, lo spazio di intervento è più ampio di quello che si creda. “C’è un grosso margine di manovra fra non fare nulla, accettare lo status quo e imporre la censura”, ha osservato il commissario. La prospettiva di un ministero della Verità, di orwelliana memoria, appare dunque remota. “Non stiamo parlando di censurare contenuti o limitare la libertà di espressione, ma di rafforzare trasparenza, tracciabilità e accountability delle notizie”, ha chiosato King.