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Difesa dei diritti umani e salvaguardia del pianeta

Inquinare e impoverire la terra è antieconomico e provoca ferite all’umanità: solo il loro rispetto può assicurare la crescita rigogliosa della società. I tempi stringono, ma passi avanti sono possibili e ognuno può fare la sua parte. I risultati si vedranno se sapremo far crescere la coscienza dei rischi cui siamo esposti. Di questo si è parlato alla terza edizione del Festival dei Diritti Umani che si è svolto a Milano dal 20 al 23 marzo

Si è conclusa a Milano la terza edizione del Festival dei Diritti Umani 2018. L'iniziativa - creata per sensibilizzare la cittadinanza sui diritti umani, per denunciare le loro violazioni e dare rilievo a chi li difende - quest'anno ha avuto come tema la salvaguardia della terra e le sue conseguenze sui diritti umani. La manifestazione è organizza da Reset-Diritti Umani, con il patrocinio di Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e molti altri ancora.

Numerosi appuntamenti hanno messo in luce problemi come inquinamento, esodo di profughi ambientali, cambiamento climatico e prelievo insensato e iniquo dei beni di consumo, mettendo in evidenza quanto sia necessario mutare l’andamento economico per garantire uno sviluppo sostenibile e, di conseguenza, i diritti umani di questa generazione e di quelle a venire.

Un legame a doppio filo
L’ambiente e i diritti umani sono sempre più attigui, perché sono in gioco la salute e la vita di tutti. L'acqua, l'aria, il paesaggio, la natura sono le basi dell’esistenza umana e come tali vanno trattati e salvaguardati. In Africa, come in America, in Cina e in Italia. Ovunque.
Rapporti periodici che vengono dalla comunità scientifica hanno dimostrato che ci sono evidenti relazioni di causa - effetto tra le attività umane sul pianeta e il mutamento del clima dei cui impatti catastrofici si sente ogni giorno parlare da oltre vent’anni. Eppure le evidenze scientifiche sembrano non bastare più.

“Il mondo è povero. Le popolazioni sono povere. Le risorse sono mal distribuite: la terra è una e le risorse sono di pochi,” evidenzia Paolo Bernasconi, presidente Reset-Diritti Umani. “La scarsità delle risorse dovute al riscaldamento globale ha portato e porterà ancora ai conflitti. E i conflitti portano a sofferenze universali di indicibile dolore”.
Guerre e migrazioni sono infatti causate anche dai fenomeni climatici estremi, che distruggono le economie e le società fragili. Riequilibrare il clima significa agire sui diritti umani: “Pensiamo a come la desertificazione di alcune aree del pianeta in Africa e in Medio Oriente ha innescato l'esodo di popolazioni disperate per la fine dell'attività agricola che dà loro da vivere. Questo esodo ha contribuito a far precipitare nel marasma, o nella guerra civile, situazioni già precarie.”.

Le risorse sono un diritto di tutti
Lo sviluppo di una coscienza più sensibile ai rischi che corre il pianeta terra a livello globale ha bisogno di un lavoro di informazione ed educazione continuo.
 “Gli stati devono smetterla di pensare all’oggi - esorta Bernasconi - E devono smetterla di saccheggiare la terra privando le popolazioni più fragili del loro sostentamento. Un esempio? L’acqua. L’acqua non è solo un bene prezioso, è soprattutto un diritto. Che viene calpestato da chi l’accaparra, da chi la inquina, da chi la spreca. La Repubblica Popolare Cinese sta drenando i fiumi del Tibet e presto le popolazioni di quelle aree saranno condannate alla sete e si muoveranno. La siccità in Africa sta mettendo già in moto 400 milioni di persone. Queste sono le migrazioni che ci aspetteremo e con cui dovremo fare i conti”
La fortezza Europa è chiusa alle persone che spesso fuggono dai disastri causati anche dal sistema dei consumi e degli investimenti del mondo occidentale e non solo. “Introdurre lo status di profugo ambientale sarebbe un parziale risarcimento” è una delle proposte che si è sentita durante il Festival.

I problemi sono anche dell’Italia
Oggi il pianeta ci sta presentando il conto, si esprime dimostrandoci come a ogni nostro gesto corrisponda una conseguenza, come il nostro vivere abbia messo a rischio il futuro dei nostri figli. Perché i danni alla nostra terra avvengano anche vicino a noi. Se pensiamo all’inquinamento “bisognerebbe sviluppare una responsabilità morale nei confronti di essa: poter respirare aria pulita – sottolinea Bernasconi - è un nostro diritto ma anche un nostro dovere e anche i governi devono impegnarsi a rispettare delle norme che troppo spesso vengono dimenticate”.
In Italia la situazione è nettamente migliorata rispetto al passato, basti pensare che a Torino 20 anni fa c’era il doppio di pm10rispetto ad oggi, ma siamo ancora il fanalino di coda di tutta l’Europa.
Di questo aspetto si è discusso in particolare durante il convegno “Medici e avvocati: un patto anti-inquinamento”.
Il patto prevede che medici e avvocati collaborino per non lasciare da solo il cittadino a difendersi dall’inquinamento, che i medici siano sentinelle sul territorio e che gli avvocati sappiano individuare le soluzioni win-win.
L’evento, organizzato in collaborazione con l’Ordine degli Avvocati e con l’Ordine provinciale dei medici chirurghi e odontoiatri di Milano, ha fornito una serie di informazioni sui principali inquinanti identificati nella Città Metropolitana, sulle probabili cause della loro persistenza spesso oltre i livelli di guardia e delle relative responsabilità, sulle patologie correlate e sulle modalità per l’emergenza delle stesse, e infine sulle possibili soluzioni da attuare.

Sviluppare una coscienza ambientale
Perché su scala globale gli esseri umani sviluppino una consapevolezza diffusa e convergente, capace di produrre dei cambiamenti nelle politiche e nei comportamenti occorre l’aiuto di tutti. “A partire dalle aziende che devono diventare sostenibili. Devono svolgere le proprie attività per rispondere ai bisogni di oggi - prosegue Bernasconi - ma devono anche fare in modo che si possa continuare a rispondere anche ai bisogni di domani, quelli delle popolazioni future.”

Le persone cosa devono fare? “Devono rompere il silenzio e devono ricordare che la terra sta morendo e che non possiamo far finta di nulla” sollecita Bernasconi. “Durante il Festival dei Diritti Umani – aggiunge - abbiamo raccolto la testimonianza di quattro attiviste molto importanti provenienti dalle Filippine, dall’Amazzonia, dal Chad e dal Nord della Finlandia che ci hanno raccontato quella parte del mondo che non vediamo e che nessuno racconta. Ecco, è fondamentale dare spazio a queste voci, a chi ha il coraggio di denunciare e di sensibilizzare l’opinione pubblica”.

Il festival vuole farla maturare attraverso il contatto diretto con i testimoni, della scienza ma anche delle pratiche, del cambiamento possibile, mostrando film, raccontando storie, spiegando fatti: dalle carestie alle terre abbandonate, dalle battaglie per l'acqua alla difesa delle foreste, dalle grandi città con le loro buone e cattive pratiche e con le loro speranze, agli oceani aggrediti dalla plastica.

“Non basta lanciare l'allarme, è necessario far cambiare rotta a chi governa” conclude Bernasconi. “A partire da quella parte politica, che è molto presente quando si tratta di combattere i profughi erigendo muri e che favorisce soltanto il profitto a breve scadenza; la stessa politica che ignora o minimizza il pericolo ambientale e incrementa le migrazioni, che hanno nel cambiamento climatico una delle loro cause”.

Siamo ancora in tempo per cambiare?
Non è troppo tardi per educare le nuove generazioni, per cominciare a dare buoni esempi, per migliorare lo stato della nostra Terra? Al Festival dei Diritti Umani se ne è discusso e si sono mostrati alcuni movimenti spontanei di persone che cominciano a organizzarsi.

Negli ultimi anni, dovunque nel mondo, piccoli gruppi di persone, ad esempio, hanno cominciato a coltivare ortaggi nei propri fazzoletti di terra (giardini, orti, balconi, terrazze, spazi abbandonati delle città). Lo fanno perché esigono cibo fresco e salutare, perché vogliono cambiare in meglio il posto in cui vivono edaumentare la qualità della loro vita.
God Save the Green, in particolare, racconta storie di gruppi di persone che, attraverso il verde urbano, hanno dato un nuovo senso alla parola comunità ed allo stesso tempo hanno cambiato in meglio il tessuto sociale e urbano in cui vivono. Le storie si svolgono nelle periferie di medie e grandi città del Nord e del Sud del mondo: Torino, Bologna, Nairobi, Casablanca, Teresina, Berlino.
Piccoli passi da cui partire per fare un grande e urgente cammino.