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Al nord si vive più a lungo

In Trentino-Alto Adige speranza di vita fino a tre anni più elevata rispetto a quanto registrato in Campania

Un’Italia a due velocità, anche sul fronte della salute. L’ha fotografata recentemente l’Osservatorio nazionale della salute nelle Regioni italiane, nel suo periodico aggiornamento sulla speranza di vita nel nostro Paese. Il quadro che ne emerge è quello di un’Italia spaccata in due, dove l’aspettativa di vita dipende dal luogo di residenza e dal livello di istruzione: un laureato del nord vive più a lungo di un meridionale che si è fermato ai livelli più bassi di istruzione. A pesare è soprattutto la forbice nell’accesso ai servizi sanitari, con ripercussioni sui livelli di prevenzione e sulla capacità di diagnosticare rapidamente eventuali patologie.
Il risultato è che, numeri alla mano, in Trentino-Alto Adige si vive in media fino a tre anni in più che in Campania: 81,6 anni per gli uomini e 86,3 per le donne contro, rispettivamente, 78,9 e 83,3. Nel più generale Nord-Est la speranza di vita si attesta a 81,2 anni per gli uomini e 85,6 anni per le donne: numeri decisamente più bassi al Mezzogiorno, dove l’aspettativa si ferma a 79,8 e 84,1 anni.
Insomma, a fronte di una media nazionale di 82,8 anni, le differenze non mancano. Firenze si impone come la città più longeva con una speranza di vita di 84,1 anni: seguono Monza e Treviso, entrambe con poco più di un anno di vantaggio sull’italiano medio. In coda si piazzano invece Napoli e Caserta, indietro di oltre due anni rispetto alla media nazionale, seguite da Caltanissetta e Siracusa che scontano uno svantaggio rispettivamente di 1,6 e 1,4 anni.
Sul fronte dell’istruzione, come già accennato, la forbice fra più e meno istruiti si attesta al 6,6%. Un livello non così ampio nel confronto con l’Europa, che consente al nostro Paese di vantare il secondo minor livello di disuguaglianza nel Continente dopo la Svezia. Ma che comunque si innesta in un sistema fortemente sbilanciato e sperequato, esacerbando una situazione già critica sul fronte dell’accesso alle cure. Così, secondo il numeri del rapporto, una laurea porta con sé anche una speranza di vita di 82 anni: per chi si ferma ai primi anni di istruzione l’aspettativa si riduce a 77 anni. Anche la qualità della vita cambia a seconda del livello di istruzione: se fra i 25 e i 44 anni l’incidenza di una malattia cronica grave si attesta al 5,8% tra chi ha un basso titolo di studio, fra i laureati la percentuale scende al 3,2%. Una forbice che pare destinata ad ampliarsi col passare degli anni, visto che nella fascia 45-64 anni le quote si spostano rispettivamente al 23,2% e all’11,5%.
"Il Servizio sanitario nazionale, oltre che tutelare la salute, nasce con l’obiettivo di superare gli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del Paese. Ma su questo fronte i dati testimoniano il sostanziale fallimento delle politiche adottate. Sono troppe e troppo marcate le differenze regionali e sociali, sia per quanto riguarda l’aspettativa di vita sia per la presenza di malattie croniche", ha commentato Alessandro Solipaca, direttore scientifico dell’Osservatorio.