hi-tech-bene-ma-non-benissimo

Hi-tech, bene ma non benissimo

Assinform Anitec fotografa il settore dell’innovazione in Italia: comparto sano, ma si potrebbe fare di più

Piccolo, frammentato e in espansione: in salute, con una produttività pro-capite che supera la media nazionale del 40%, ma le cose potrebbero andare meglio. Sono questi, in estrema sintesi, i tratti fondamentali del settore hi-tech in Italia. La fotografia arriva dal rapporto Il settore IT in Italia, pubblicazione curata da Assinform Assitec ed elaborata sulla base dei dati raccolti da Net Consulting Cube. L’immagine che ne emerge è quello di un comparto sostanzialmente giovane, in cui il 60% delle
imprese ha meno di 16 anni, e molto frammentato: nel rapporto si contano 87 mila aziende, 430 mila addetti e un’incidenza sul Pil che arriva al 3,7%. A scorrere i numeri della ricerca, sembra quasi che la logica delle pmi abbia contagiato anche il settore dell’hi-tech. Il che non è necessariamente un male, ma pone ostacoli che attendono ancora di essere superati. 

Il rischio principale è quello del nanismo. “Aziende piccole hanno poche risorse finanziarie e non riescono a far fronte a un altro cronico difetto del sistema italiano, ossia la cronica sottovalutazione dei prezzi dei servizi, il cui acquisto è tutt’oggi prevalentemente basato su gare al massimo ribasso”, ha commentato Stefano Pileri, presidente di Assinform Anitec.

A detta di curatori del rapporto, quello che manca è un salto di qualità. Innanzitutto sul fronte dell’innovazione, diffusa attualmente nel 60% delle imprese: non poco, anche rispetto ad altri settori industriali, ma meno di quello che ci si aspetterebbe in un comparto che fa dell’innovazione il proprio business. C’è poi il fronte aperto della redditività, ormai non più perseguibile con la vendita di beni e servizi: la strada della crescita passa dall’instaurazione di un rapporto consulenziale con la clientela, in cui la fornitura della prestazione diventa il pretesto per costruire una relazione duratura (e redditizia) con il proprio pubblico. Ultimo punto è quello della politica industriale che vorrà promuovere il legislatore. “Serve sostegno politico – ha spiegato Giancarlo Capitani, presidente di Net Consulting Cube – che non arriva creando campioni nazionali ma lavorando per diffondere cultura di impresa digitale, a partire dal management”. Cultura che può arrivare soltanto con un diffuso impegno in formazione. “Una volta c’erano realtà guida come Olivetti e Fiat che avevano creato scuole manageriali di grande livello: se ne sente la mancanza”, ha osservato mestamente Capitani.