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L’equo compenso è realtà: ora bisogna farlo funzionare

È l’inizio di una nuova stagione di diritti e di tutele per i professionisti, oppure una bandierina per accontentare un gruppo sociale importante e numeroso sotto elezioni? Intanto il provvedimento passa con più luci che ombre

Con l’approvazione dell’equo compenso nell’ambito del decreto fiscale, per i professionisti, anche non aderenti a ordini professionali, si potrebbe aprire una nuova stagione di diritti e tutele. Almeno queste sono le intenzioni del legislatore e del Parlamento che hanno finalmente approvato la norma tanto attesa.
La legge, che riguarderà circa 4,4 milioni di lavoratori, intende porre fine a svariate pratiche ai limiti della legalità, anche messe in atto della Pubblica amministrazione: la norma è valida sia per i clienti privati sia quando il committente è appunto la Pa. Con l’equo compenso, si potranno eliminare contratti capestro, prestazioni al massimo ribasso o incarichi pubblici banditi per cifre simboliche. 

Il momento decisivo è stata l’approvazione in commissione Bilancio del Senato, lo scorso 15 novembre, dell’emendamento del relatore Silvio Lai (Pd): il testo, in origine, tutelava solo i servizi degli avvocati nel contenzioso con le parti forti, cioè banche, assicurazioni e grandi imprese ma in seguito il raggio d’azione è stato esteso a tutti gli autonomi ed sono stati inclusi i rapporti con la Pa.
Per definire le soglie di remunerazione al di sotto delle quali non è possibile scendere, saranno presi in considerazione i parametri giudiziari, usati dai magistrati per dirimere le controversie, emessi dai ministeri che vigilano sugli Ordini professionali, mentre per le altre categorie occorrerà determinare i compensi attraverso un decreto. Il provvedimento è importante soprattutto per le professioni non regolamentate, i cui lavoratori sono circa tre milioni, contro il milione e 400 mila dei professionisti iscritti a un ordine. 

La svolta, nonostante il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, l’avesse definito “un impegno preso con tutti i professionisti per sradicare il caporalato intellettuale”, si stava facendo attendere più del dovuto, secondo le associazioni dei professionisti che avevano indetto una manifestazione a Roma per il prossimo 30 novembre. Ora la manifestazione si farà lo stesso ma per rivendicare il risultato ottenuto.

Parametri ancora da individuare

Il Comitato unitario delle professioni e la Rete delle professioni tecniche si sono dichiarate soddisfatte della decisone infine presa dalle forze politiche, mentre Massimo Miani, numero uno dei commercialisti italiani, ha chiesto che sia proprio la Pa a farsi “garante dell’equo compenso”.
Tuttavia ci sono ancora molte cose da sistemare. Per Anna Rita Fioroni, responsabile di Confcommercio-Professioni, l’estensione dell’equo compenso rappresenta “un primo passo verso le esigenze del mondo del lavoro autonomo” ma dal momento che i parametri di riferimento saranno fissati mediante decreto, Fioroni auspica un confronto prima della loro determinazione, soprattutto per le professioni non ordinistiche per cui “è più difficile individuare parametri”. Sulla stessa posizione è anche la Cgil che, se da un lato plaude alla norma, dall’altro è convinta sia necessario un tavolo di confronto affinché i “parametri non siano stabiliti dal legislatore ma siano frutto di accordi tra i soggetti sociali che rappresentano lavoratori autonomi e imprese”.

Vigilare sulla Pa che non paga i professionisti

Ma il vero nodo della questione sembra essere quello dell’applicazione della legge alla Pubblica amministrazione. Su questo punto ci sono ancora molti timori. Sempre Confcommercio-Professioni si augura che l’introduzione del principio dell’equo compenso rappresenti “un elemento qualificante” che consenta di superare “quelle condizioni contrattuali sino a oggi spesso imposte dagli enti pubblici”. Per la Cgil sarà fondamentale vigilare sull’applicazione “della parte forse più significativa della legge”: i compensi erogati dalle Pubbliche amministrazioni, che “non devono più permettersi di sottopagare o addirittura non pagare i lavoratori”.
Sullo stessa frequenza si pone il segretario generale dell’Associazione nazionale forense, Luigi Pansini, che sottolinea come il testo rimanga ancora troppo generico rispetto al coinvolgimento della Pa: “non vorremmo – ha dichiarato – che si cadesse nell’errore dello slogan elettorale e della bandierina piantata in finale di legislatura”.