la-battaglia-dell-auto-elettrica
Fonte immagine: Ralf Hahn - iStock

La battaglia dell’auto elettrica

Il passaggio dai motori a combustione interna a quelli elettrici impone un cambiamento tecnologico radicale, dove la Cina è in una posizione di netto vantaggio e l’Europa si trova a rincorrere. Ecco i termini di una sfida epocale che potrebbe riscrivere il panorama industriale dei paesi maggiormente sviluppati

Con la decisione presa dall’Unione Europea di non vendere più, a partire dal 2035, automobili a combustione interna, nel Vecchio Continente è partita una rincorsa forsennata. L’avversario che ha preso il largo è la Cina, indiscusso leader mondiale nello sviluppo delle auto elettriche. Ma non solo. Perché il gigante asiatico è più in generale la nuova superpotenza del settore automotive: è già il mercato più grande del mondo (24,9 milioni di veicoli venduti nel 2023), e dallo scorso anno è anche il primo esportatore di automobili al mondo, superando il Giappone. I grandi marchi cinesi, come ad esempio Byd, sono ormai realtà sempre più solide e affermate anche all’estero. E secondo i dati pubblicati dall’ultimo Global Automotive Outlook di AlixPartners, per la prima volta nella storia più del 50% del mercato locale sarà soddisfatto con veicoli prodotti da brand domestici.
Gli effetti di queste dinamiche mettono l’Europa in una posizione delicata. Secondo Guido Alberto Casanova, junior research fellow dell’Ispi, il passaggio dai motori a combustione interna a quelli elettrici impone un cambiamento tecnologico radicale, che ha il potenziale per riscrivere completamente il panorama industriale dei paesi maggiormente sviluppati. “La Cina – spiega Casanova– ha ormai da 10 anni individuato nell’auto elettrica uno dei motori del proprio sviluppo industriale. Questo perché da oltre un decennio esiste nella politica cinese una forte determinazione di risalire le catene del valore delle principali industrie mondiali”. Per noi europei una sfida di queste dimensioni porta con sé risvolti non solo economici, ma anche sociali. In Europa sono 14 milioni i lavoratori impiegati direttamente o indirettamente nell’industria automotive. “Ma con la transizione energetica – avverte – le posizioni dominanti rischiano di essere invertite”.


 © PhonlamaiPhoto - iStock


Il dominio nelle batterie

Tenendo presente la data del 2035, in Europa abbiamo ancora 11 anni per completare questa transizione, ma dobbiamo farlo molto velocemente. “La Cina – riflette Casanova – avviando una politica di forte sostegno a questo settore, è arrivata a supportare anche tutti i sotto-settori necessari al suo sviluppo”. L’analista dell’Ispi cita ad esempio la produzione delle batterie elettriche agli ioni di litio, tecnologia che sta al cuore dell’auto elettrica. “Più di un terzo del valore aggiunto di un veicolo elettrico dipende esclusivamente dalla batteria. È questa, dunque, la tecnologia da padroneggiare per guidare anche la transizione elettrica nell’automotive”, afferma. Oggi le più grandi aziende al mondo che producono batterie agli ioni di litio, sono cinesi: la più grande in assoluto è un’azienda che 15 anni fa nemmeno esisteva: si chiama Catl, e a oggi da sola ha circa il 37% dell’intero mercato delle batterie, fornendo anche Tesla.


Nel 2023 la Cina è stato il primo esportatore di auto al mondo: superato il Giappone



I gusti del consumatore cinese

Un altro degli aspetti su cui Casanova invita a riflettere riguarda anche i gusti di chi vuole acquistare un’auto. “In Cina – sottolinea – il consumatore desidera possedere un’auto elettrica, è il massimo dell’aspirazione, mentre in Europa l’auto elettrica è vista ancora come un prodotto d’élite”. Questo ha reso la Repubblica Popolare il più grande mercato al mondo per le auto elettriche, rappresentando uno quota di circa il 60% di tutti i veicoli venduti a livello globale. “Il mercato interno cinese – afferma Casanova – è stato sostenuto per un decennio da un programma di sussidi per l’acquisto di auto elettriche, ma a fine 2022 questi bonus sono stati sospesi”.
Esiste tuttavia un tema di sovraccapacità produttiva dell’industria automobilistica cinese rispetto al mercato interno. Questo perché da un lato c’è stata una forte crescita della base industriale, le cui capacità produttive sfiorano i 50 milioni di unità annuali (di auto elettriche e non), a fronte di una domanda complessiva di auto per circa 23 milioni. Dall’altro ci sono gli effetti della guerra dei prezzi innescata a inizio 2023 che ha paradossalmente frenato il mercato interno. Secondo Casanova, questa situazione ha dato l’opportunità alle case automobilistiche cinesi di pensare in un’ottica globale, esportando i propri modelli. La già citata Byd, ad esempio, si appresta a sorpassare Tesla come primo produttore mondiale di vetture elettriche. Casanova ricorda che a ottobre 2023 per la prima volta il valore delle auto elettriche made in China esportate in Europa ha superato la soglia dei due miliardi di dollari.


Si è ribaltato un paradigma storico: siamo noi europei, ora, a dover rincorrere l’expertise cinese

 

Come sta rispondendo l’Europa

Questo pone un serio problema per i nostri produttori. La Cina è molto avanti, mentre l’Europa annaspa. Nel suo discorso sullo stato dell’Unione dello scorso anno Ursula Von der Leyen ha annunciato l’avvio di un’indagine per determinare se le importazioni di auto elettriche dalla Cina (prodotte da brand sia cinesi, sia occidentali) comportino un danno per i produttori europei in termini di concorrenza sleale, laddove si dimostrasse che questo export sia stato spinto dai sussidi governativi cinesi. Secondo Casanova, l’avvio di questa indagine “è una vittoria francese, perché i marchi transalpini sono molto più esposti alla concorrenza cinese essendo posizionati in fasce di prezzo basse, a differenza di quelli tedeschi. Questi ultimi, inoltre, dipendono fortemente dalle vendite in Cina. Pertanto se l’Ue dovesse adottare dei dazi, innescando una contro-reazione da parte della Cina, i marchi più penalizzati sarebbero proprio quelli tedeschi. Esiste quindi una divergenza di vedute all’interno dell’Europa. La Germania ha accettato che venisse svolta questa indagine a livello europeo, ma ha posto fortemente l’accento sul fatto che l’onere della prova debba essere molto alto”.
Ai produttori europei non resta dunque che ridurre il gap stringendo accordi con partner cinesi: Volkswagen, ad esempio, ha stretto un’alleanza con Xpeng, Audi con Saic. “Le grandi case europee hanno un ritardo tecnologico tale che è improbabile riuscire a colmarlo senza la condivisione delle tecnologie sviluppate in Cina. È ciò che stanno cercando di fare tutti i grandi marchi. Persino Ford, un player statunitense, cioè del paese con le politiche più fortemente anticinesi, ha iniziato una partnership con Catl. Il primato tecnologico raggiunto dalla Cina in questo ambito è difficile da scalfire. È una situazione inversa rispetto a quello che esisteva nel motore a scoppio: siamo noi ora a dover rincorrere le loro expertise”, conclude Casanova.


© vice_and_virtue - iStock


Il costo della transizione
L’ultimo Global Automotive Outlook di AlixPartners stima che gli investimenti per la transizione elettrica a livello globale passeranno da 526 miliardi di dollari per il periodo 2022-2026 a 616 miliardi di dollari per il periodo 2023-2027. Dei 90 miliardi di aumento, circa l’87% (73 miliardi) riguardano investimenti in batterie. Sempre secondo lo studio di AlixPartners, con gli investimenti annunciati l’autosufficienza europea per la produzione di batterie potrebbe essere raggiunta a partire dal 2026. Il focus si sposterà sempre di più verso l’integrazione e il controllo dell’estrazione delle materie prime, verso cui già oggi molti costruttori stanno lavorando attivamente.