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Le climate fintech e la sfida dell’adattamento

Le tecnologie digitali applicate alla finanza verde sono applicazioni, strumenti, società che rispondono a specifici obiettivi di sostenibilità e possono supportare la transizione ambientale ed energetica che, solo all’Unione Europea, costerà 470 miliardi di euro all’anno entro il 2030

Non c’era certo bisogno dell’estate 2023 per renderci conto degli stravolgimenti, profondi e concreti, che il cambiamento climatico sta portando nelle vite di tutti noi. Prolungati periodi di siccità, seguiti da giornate (a volte settimane) di caldo record, stanno letteralmente rendendo alcune parti del mondo non più adatte alla vita umana per come la conosciamo: anche in Italia. La frequenza dei temporali di un’intensità che nel nostro paese si vedeva molto raramente, forse mai come questa estate, è stata il simbolo di come la crisi climatica non sia un rischio ma una realtà che stiamo vivendo qui e ora.
Il lato positivo, però, è che la platea dei negazionisti, o anche solo di chi non ritiene la crisi climatica una (probabilmente la) priorità, è sempre più esigua. È evidente che, soprattutto negli ultimi anni, accanto alle misure di mitigazione, importantissime ma ormai non più sufficienti, il mondo stia viaggiando verso un nuovo modello di sviluppo: un modello che prevede l’adattamento, per quanto possibile, a un mondo ben più caldo dell’1,5-2 gradi previsti dalla Cop di Parigi 2015.


 

La finanza verde deve crescere

Gli effetti dei cambiamenti climatici sul sistema economico sono diffusi tra quasi tutti i settori produttivi e dei servizi. Le risorse necessarie per le misure di adattamento e di mitigazione, come previste dalla Commissione Europea sono enormi: 470 miliardi di euro all’anno, cioè il 2,3% del Pil dell’Unione Europa, dal 2021 al 2030. Di questi miliardi, molti dovranno venire dalla cosiddetta finanza verde che negli ultimi anni è stata in costante crescita, pur rappresentando una quota ancora troppo bassa dei flussi finanziari totali, come emerge, per esempio, da uno studio di Refinitiv che nel 2021 aveva quantificato appena nel 4%, a livello globale, la quota di mercato di bond, società quotate in borsa e venture capital green. Come scrive Diego Scalise, senior economist di Banca d’Italia in un interessante ricerca sul tema, “il settore finanziario dovrà quindi ampliare gli strumenti disponibili, aumentare la qualità e la disponibilità di dati concernenti profili di sostenibilità e mobilitare i comportamenti necessari alla transizione ambientale”.

Obiettivi e comparti

Da qui la necessità di analizzare le numerose e recenti iniziative internazionali che hanno coinvolto le tecnologie digitali applicate alla finanza, per contribuire alla sostenibilità ambientale: le cosiddette climate fintech. Questi player economici si concentrano su applicazioni direttamente a supporto della transizione ambientale ed energetica, rispondono cioè a quattro specifici Sustainable development goals dell’Onu: garantire l’accesso a un’energia economica, affidabile, sostenibile e moderna per tutti (obiettivo 7); agire per il clima (13); conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine per lo sviluppo sostenibile (14); utilizzare in modo sostenibile le foreste, fermare la desertificazione e il degrado del territorio (15).
I prodotti e gli ambiti di operatività delle climate fintech riguardano otto comparti, secondo la catalogazione (tassonomia) di Bri (Banca dei regolamenti internazionali), Fsb (Financial stability board) e Banca Mondiale: conti e pagamenti; investimenti; analisi dei dati e soluzioni Esg; piattaforme di crowdfunding; insurtech e analisi del rischio (settore assicurativo); prestiti e depositi digitali; asset digitali; regtech (applicazioni tecnologiche dedicate ai processi normativi).




La prevalenza di Esg, regtech e strumenti d’investimento

A livello globale, le applicazioni che svolgono analisi dei dati e forniscono soluzioni Esg e le regtech, così come le start-up che aiutano a investire, sono le più diffuse e rappresentano circa il 40% del totale. Seguono gli strumenti relativi a conti e pagamenti, offerte da circa un quinto degli operatori; i portali di crowdfunding, gli asset digitali e le applicazioni che si occupano di prestiti e depositi digitali, resi disponibili da circa un operatore su dieci. Chiudono la classifica le soluzioni di risk analysis e le insurtech, presenti nell’appena il 7% del mercato.
Per quanto riguarda l’Italia, alla fine del 2022, gli operatori recensiti erano 37, il 6% circa del totale delle imprese fintech, stando al dato di Bankitalia, che è leggermente più ottimista del Politecnico di Milano che nel suo osservatorio fa sapere che solo il 4% delle fintech italiane “focalizza la propria attività sul tema della lotta al cambiamento climatico e del supporto alla transizione ecologica”. Nel confronto europeo, emerge come la differenza rispetto ai paesi messi meglio sia legata alla minore diffusione di fintech sul territorio nazionale: in Italia, il numero di imprese fintech pro capite è pari a meno della metà rispetto a Regno Unito e Olanda.

Un futuro in balia delle norme

L’Italia è però leader nel green equity crowdfunding (30% degli operatori), con un trend di crescita ininterrotto dal 2014, sia in termini di volumi sia di progetti finanziati, ma con importi molto minori rispetto alla finanza tradizionale. Male, invece, rispetto ai paesi più dinamici, l’Esg data analytics e le regtech solution, così come le applicazioni di investimento green.
Come spesso accade in questi contesti produttivi fortemente innovativi, come sono le fintech, anche per quelle che riguardano la gestione del cambiamento climatico, la normativa sarà decisiva: richieste regolamentari più stringenti, in termini di incorporazione dei fattori ambientali nei processi operativi e di comunicazione al mercato, potrebbero richiedere alle imprese lo sviluppo di nuovi sistemi più evoluti, capaci di analizzare dati in maniera più precisa e granulare. Questo potrà essere uno stimolo alla nascita di nuove soluzioni climate fintech, ma anche un freno qualora il contesto burocratico diventasse proibitivo.
Insomma, come la pioggia o il caldo: fanno molto bene, ma solo nella giusta misura.



Avanguardie Europee

L’Europa è all’avanguardia nello sviluppo delle climate fintech, come del resto nella legislazione che riguarda il clima. Ben il 55% di queste realtà è europeo, un dato che si spiega proprio grazie a tutte le iniziative e alle policy che l’Unione Europea ha messo in campo per accelerare il processo di decarbonizzazione, anche attraverso le nuove regolamentazioni come la Sustainable finance disclosures regulation (Sfdr) e la Corporate sustainability reporting directive (Csrd).
A livello di singoli Stati dell’Unione, la diffusione delle climate fintech è maggiore nei paesi in cui l’adozione digitale e l’infrastruttura sono migliori e dove le politiche e gli sforzi per ridurre le emissioni e per combattere il riscaldamento globale sono più incisivi, nonché dove gli ecosistemi e i centri finanziari sono più sviluppati ed efficienti: come avrete capito, queste prerogative non fanno dell’Italia, purtroppo, il paese più fertile per la nascita di questi player altamente innovativi.